18 Giugno 2013

Carnevale storia e religione. Lezione febbraio 2020

Filed under: LEZIONI DI RELIGIONE — giacomo.campanile @ 09:28

Il carnevale è una festa che si celebra nei Paesi di tradizione cristiana e in particolare in quelli di rito cattolico; è una festa mobile. I festeggiamenti si svolgono spesso in pubbliche parate in cui dominano elementi giocosi e fantasiosi; in particolare, l’elemento distintivo e caratterizzante del carnevale è l’uso del mascheramento.

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Secondo la più accreditata interpretazione la parola ‘carnevale’ deriverebbe dal latino carnem levare (“eliminare la carne”), poiché indicava il banchetto che si teneva l’ultimo giorno di Carnevale (Martedì grasso), subito prima del periodo di astinenza e digiuno della Quaresima

I festeggiamenti maggiori avvengono il Giovedì grasso e il Martedì grasso, ossia l’ultimo giovedì e l’ultimo martedì prima dell’inizio della Quaresima. In particolare il Martedì grasso è il giorno di chiusura dei festeggiamenti carnevaleschi, dato che la Quaresima nel rito romano inizia con il Mercoledì delle ceneri.

I caratteri della celebrazione del carnevale hanno origini in festività molto antiche, come per esempio le dionisiache greche (le antesterie) o i saturnali romani. Durante le feste dionisiache e saturnali si realizzava un temporaneo scioglimento dagli obblighi sociali e dalle gerarchie per lasciar posto al rovesciamento dell’ordine, allo scherzo e anche alla dissolutezza.

La confusione delle forme è illustrata dallo sconvolgimento delle condizioni sociali (nei Saturnali lo schiavo è promosso padrone, il padrone serve gli schiavi; in Mesopotamia si deponeva e si umiliava il re, ecc.), dalla sospensione di tutte le norme, ecc

Papa Benedetto XVI ha rimarcato che per i cattolici il Carnevale ha direttamente a che fare con il sentimento di “umanità” cristiana in quanto tale festa è “espressione di gioia”

«Il Carnevale di Roma non è una festa che si offre al popolo, bensì una festa che il popolo offre a se stesso[1]… a differenza delle feste religiose di Roma, il Carnevale non abbaglia lo sguardo: non ci sono fuochi d’artificio, né illuminazioni, né brillanti processioni. Tutto ciò che accade è che, ad un dato segnale, tutti hanno il permesso di essere pazzi e folli come gli piace, e quasi tutto, tranne i pugni e le pugnalate, è lecito»
(Johann Wolfgang von Goethe, Viaggio in Italia, 1788

Il Carnevale di Roma, o Carnevale romano, si festeggia a Roma nel periodo dell’anno che precede la Quaresima; fortemente ispirato ai Saturnalia degli antichi Romani, il carnevale fu uno dei principali festeggiamenti della Roma pontificia

L’evento principale era la corsa dei cavalli berberi: tanti nobili, reali, artisti e viaggiatori accorrevano a Roma per la corsa e ne lasciarono traccia nei loro scritti; esso fu inoltre un tema ricorrente in numerose vivaci stampe e dipinti. Esso si tenne annualmente, con alcune eccezioni, ad esempio nel 1829 per la morte del papa Leone XII.

Pochi anni dopo l’Unità d’Italia, nel 1874, Vittorio Emanuele II decise di abolire per sempre questo evento a causa della morte di un giovane che assisteva alla corsa e fu travolto e ucciso: questo fatto segnò così l’inizio del declino del Carnevale romano.

Con la Breccia di Porta Pia il Carnevale romano conobbe una rapida crisi. Nella Roma “umbertina” l’evento capitolino appariva una manifestazione troppo popolana, quasi incivile, non degna della nuova capitale del Regno italiano.

L’abolizione della Corsa dei Berberi nel 1883, dopo l’ennesimo incidente mortale, fu il naturale preludio al definitivo tramonto del Carnevale romano che, di lì a poco, fu del tutto soppresso.

Calava il sipario, dunque, su una delle feste più tipiche della cultura romana, una festa che, come diceva Goethe, il popolo romano offriva sostanzialmente “a se stesso”.

A dare ufficialmente l’avvio al carnevale romano, uno dei momenti più attesi dalla città eterna, era la “Patarina”, la storica campana del Campidoglio (più volte fusa e rimodellata in realtà) che fu portata a Roma, come trofeo di guerra, nel 1200 dal senatore Pandolfo della Suburra, dopo aver sconfitto i viterbesi, rei di aver minacciano il paese di Vitorchiano, alleato con Roma. Dopo il suo rintocco la festa aveva inizio e Roma follemente si trasformava.

CARNEVALE ROMANO: I SATURNALI NELL’ANTICA ROMA

Le origini del Carnevale romano, così come quelle della stessa parola, sono avvolte nel mistero. Se infatti è incerto l’etimo, (la versione più accreditata è che la parola derivi dalla contrazione della frase carnem levare con chiaro riferimento all’astinenza dal consumo della carne tipica della Quaresima, periodo che inizia per l’appunto subito dopo il martedì grasso, in origine l’unico giorno ad essere chiamato con il termine di Carnevale) lo è anche la nascita di questa singolarissima festa.

Per molti il Carnevale romano deriverebbe dagli antichi riti dei Saturnali, che si svolgevano a Roma nel mese di dicembre. Questa festa, dedicata al dio Saturno, vedeva la partecipazione di tutta la popolazione dell’Urbe, senza distinzioni di sesso e ceto, tanto che i servi venivano autorizzati a indossare gli abiti dei padroni, in una singolare forma di travestimento attraverso l’appropriazione di una personalità non propria ma molto agognata. L’allegria era il filo conduttore dei Saturnali. Cibo e vino comparivano in abbondanza sulle tavole imbandite, con facili e prevedibili conseguenze. In quei giorni erano molti i romani che si abbandonavano alla dissolutezza, alla lussuria, ai piaceri più diversi. Rimanere sobri e distaccati era praticamente impossibile, in ossequio al celebre motto latino semel in anno licet insanire.

IL CARNEVALE DI ROMA NEL MEDIOEVO

Le prime testimonianze del Carnevale romano risalgono al X secolo d.C. Nei giorni precedenti la Quaresima, infatti, si tenevano per la città giochi e tornei, che riscossero un immediato successo fra i romani. Con il passare dei secoli l’organizzazione del carnevale si affinò sempre di più, divenendo uno degli appuntamenti più attesi di tutto l’anno e recuperando quel carattere trasgressivo legato al piacere sfrenato e al travestimento tipico dei Saturnali.

L’idea di poter uscire dall’ordinario, seppur per una manciata di giorni, venendo meno alle rigide regole imposte al popolino dal regime pontificio, risultava quanto mai allettante.

Fu papa Paolo II a conferire al Carnevale romano quell’aspetto tradizionale che tanto colpì diversi scrittori stranieri, fra cui Dumas, Goethe o Montaigne.

Papa Barbo, originario di Venezia, stabilì di incentrare il grosso dei festeggiamenti carnevaleschi, che fino a quel momento si svolgevano prevalentemente a Testaccio e a piazza Navona, nell’asse viario posto fra piazza del Popolo e piazza Venezia. Se nella celebre piazza Navona (all’epoca in Agone) si tenevano per lo più tornei cavallereschi, presso Monte Testaccio, nel medioevo pressoché disabitato, i divertimenti assumevano ben altre forme, con toni decisamente più cruenti. Uno degli spettacoli preferiti, infatti, era quello della Ruzzica de li porci, un barbaro divertimento consistente nel far rotolare giù da un pendio dei carretti con sopra dei maiali vivi, i quali arrivavano a valle in condizioni disperate per l’assurda felicità dei partecipanti che, alla fine si premuravano di raccogliere quanto restava dei malcapitati suini.

Alla base della decisione del papa di spostare i giochi in una nuova zona, non vi fu una motivazione etica quanto una politica. Il pontefice, eletto il 30 agosto 1464 al primo scrutinio nel conclave apertosi dopo la morte di Pio II, concentrando il grosso dei festeggiamenti a ridosso di piazza Venezia, desiderava valorizzare il palazzo di famiglia, Palazzo Venezia, da poco costruito, che sarebbe divenuto, con l’omonima piazza in cui sorgeva (molto diversa nelle dimensioni dall’attuale), l’approdo finale del Carnevale.

Come scrisse lo storico Ludvig von Pastor nella sua celebre Storia dei PapiPaolo II decise di allestire “cortei bacchici, rappresentazioni mitologiche di numi, di eroi di ninfe e di geni e dalla loggia del suo palazzo il papa volle essere spettatore delle corse ordinando che se ne fissasse la partenza sotto l’arco di Dominazione e l’arrivo sotto le sue finestre”.

Entusiasta per l’accoglimento dei festeggiamenti da parte dei romani, Pietro Barbo emanò addirittura un regolamento in cui erano dettagliatamente elencate le diverse e singolari competizioni che avrebbero contraddistinto il carnevale. Si andava dalla corsa degli ebrei (che correvano rigorosamente dopo aver mangiato abbondantemente al fine di rendere più grottesca una gara dal forte spirito antisemita, tanto che venne in seguito abolita), a quella dei bambini cristiani, passando per la corsa degli anziani di età superiore ai sessant’anni, che si svolgeva il Giovedì grasso, fino a quella delle bufale e degli asini, che si svolgeva il Martedì grasso e che, come ricorda Bartolomeo Sacchi, faceva talmente ridere che la gente difficilmente riusciva a rimanere in piedi. Accanto a queste corse “legalizzate” nel corso degli anni si aggiunsero altri tipi di competizioni, da quella dei nani a quella degli zoppi, senza dimenticare quella dei deformi. E’ evidente come il Carnevale romano avesse un carattere, oltre che molto popolare, anche dissacrante e decisamente cinico, secondo la più tipica tradizione romana.

LA CORSA DEI BERBERI

Partenza della corsa dei Barberi alle tribune di piazza del Popolo

Partenza della corsa dei Barberi alle tribune di piazza del Popolo

Ma l’appuntamento principe di tutto il Carnevale, oltre alla Festa dei Moccoli (una enorme fiaccolata in cui ogni partecipante teneva in mano un candelotto acceso che il vicino tentava di spegnere o carpire, scatenando un inevitabile pandemonio che Goethe definì “uno spettacolo da matti”) era senza dubbio la Corsa dei Berberi, o Barberi, che – come per le altre sfide – utilizzava il lungo rettifilo di via Lata (l’odierna via del Corso, che deve il suo attuale nome proprio alle corse carnevalesche), da piazza del Popolo a piazza Venezia.

Questa manifestazione, che il vedutista francese Antoine Jean Baptiste Thomas testimoniò in bellissime incisioni, consisteva nella corsa di cavalli scossi, privi del fantino, che partivano da piazza del Popolo e, fra ali di folla, arrivavano dopo una folle corsa a piazza Venezia, dove gli equini venivano frenati mediante un grosso telone tirato da una parte all’altra della strada. Speciali premi erano previsti per coloro che nell’ultimo tratto di gara fossero riusciti a saltare in groppa ai cavalli. La Corsa dei Berberi, dal nome della razza dei cavalli utilizzati, pur amatissima dai romani era, tuttavia, una manifestazione particolarmente pericolosa e non solo per i poveri animali ma anche per gli stessi spettatori.

Accanto alle competizioni “sportive” il Carnevale romano si caratterizzava anche per una miriade di altre manifestazioni, molte di queste del tutto spontanee e consistenti nella sfilata di maschere e di travestimenti di ogni tipo, uno spettacolo di umanità variopinta e variegata che Alexander Dumas descrisse superbamente in uno dei capitoli del suo capolavoro, Il Conte di Montecristo: “Una moltitudine di maschere compariva da ogni parte, uscendo dalle porte, dalle finestre; le carrozze sbucavano da tutti gli angoli delle strade, gremite di pagliacci, d’arlecchini, di domino, di marchesini, di trasteverini, di grotteschi, di cavalieri, di contadini, tutti gridando, gesticolando, lanciando uova piene di farina, coriandoli e mazzettini di fiori; aggredendo con le parole, e con gli oggetti, amici e stranieri, conoscenti e sconosciuti, senza che alcuno avesse il diritto di lamentarsi, senza che alcuno facesse altro che ridere”.

IL TRAMONTO DEL CARNEVALE ROMANO NELL’OTTOCENTO

Ma proprio questo carattere di sfrenata libertà che richiamava turisti da ogni dove (a Roma i balconi e le finestre che davano sul Corso ma anche su piazza del Popolo e su piazza Venezia venivano affittati a prezzi esorbitanti parecchie settimane prima dell’evento), se da una parte rappresentava la cifra assoluta del Carnevale romano – tanto diverso in questo dall’eleganza di quello veneziano – dall’altra costituiva anche il suo maggior difetto, al punto che, in più di un’occasione i papi, per ragioni di ordine pubblico, arrivarono a limitarlo se non addirittura a vietarlo. Nel 1837, regnante Gregorio XVI, non certo un “democratico”, il Carnevale fu sospeso ufficialmente, come ironicamente stigmatizzò il Belli, “cor pretesto e la scusa del collera” ma probabilmente i reali motivi di quella decisione furono altri.

Le Maschere del Carnevale Romano

Come per il Carnevale di Venezia o il Carnevale di Napoli, anche a Roma la tradizione ricorda alcune maschere tipiche legate al folklore del carnevale.

 

Rugantino: è forse la figura più famosa di Roma intorno alla quale sono state messe in scena commedie e spettacoli teatrali. Rugantino è un giovane romano, protagonista dell’amore per la bella Rosetta che lo trasformerà da brigante a eroe, capace di incolparsi dell’omicidio del marito. Rugantino morirà giustiziato sulla forca.

 

Meo Patacca: il nome deriva dalla patacca, la paga del soldato, che corrispondeva a 5 carlini. Meo Patacca è un popolano attaccabrighe che incarna lo spirito del romano che ancora oggi viene rappresentato nel ristorante di piazza de’ Mercanti, nel cuore di Trastevere.

Cassandrino: rappresenta il buon padre di famiglia, credulone e che viene sempre raggirato negli affari e in amore.

 

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Maschere tradizionali

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PLATONE E LA RELIGIONE. LEZIONE MARZO 2020

Filed under: FILOSOFIA,LEZIONI DI RELIGIONE — giacomo.campanile @ 09:27

Noccioline #18 – PLATONE spiegato FACILE #ScuolaZoo

Platonismo e cristianesimo.

LEZIONE VIDEO DI Giacomo Campanile

Platone, figlio di Aristone del demo di Collito e di Perictione ( Atene, 428/427 a.C. – Atene, 348/347 a.C.), è stato un filosofo e scrittore greco antico. Assieme al suo maestro Socrate e al suo allievo Aristotele ha posto le basi del pensiero filosofico occidentale

Assai notevole fu l’influenza esercitata dal Platonismo sulla formazione della filosofia cristiana, i cui inizi sono paralleli al neoplatonismo; il Platonismo, per la sua apertura a tematiche religiose, fu avvertito dagli scrittori cristiani come la filosofia più vicina al cristianesimo: Giustino ne faceva il culmine del pensiero pagano per il richiamo alla contemplazione della realtà intelligibile; più in generale il concetto platonico di filosofia come purificazione, ritorno al mondo delle idee, assimilazione alla divinità, era ampiamente ripreso come indicazione di quello che anche per i cristiani deve essere la filosofia; del resto la stessa identificazione di filosofia e religione (εὐσέβεια), già maturata in ambiente medioplatonico, era fatta propria dai pensatori cristiani che identificavano la filosofia, come contemplazione – e possesso – di Dio, con la religione che professavano.

Ma al di là della generale concezione della filosofia, molti altri elementi della tradizione platonica erano fatti propri dalla speculazione cristiana dei primi secoli: il concetto di Dio come unità (Uno, monade) trascendente il molteplice (che da lui trae esistenza) e quindi, al di là di ogni distinzione categoriale, inconoscibile e indicibile (principio fondamentale della teologia negativa); il rapporto tra uno e molteplici, tra Dio e mondo scandito secondo il tema della ‘discesa’ e del ‘ritorno’, ritmo circolare in cui il molteplice discende dall’uno scalarmente, attraverso intermediari, per poi ripercorrere il cammino sino all’uno; in particolare, l’idea dell’anima che attinge Dio facendosi ‘una’, ‘semplice’, superando la dispersione del mondo sensibile e ogni distinzione razionale per cogliere l’Uno con un atto che supera l’intelletto.

In questa visione della realtà come processo dell’Uno si tenta di inserire anche la dottrina trinitaria: se facile era l’accostamento tra l’Uno e Dio padre, e tra il νοῦς o λόγος e Verbo figlio di Dio (non senza correre il rischio di farne un’ipostasi inferiore all’uno), più difficile, e pure tentata, fu l’assimilazione dell’anima del mondo con lo Spirito Santo; comunque, anche al di fuori di questi diretti accostamenti, la terminologia platonica è stata largamente utilizzata nell’elaborazione della dottrina teologica cristiana.

In antropologia risulta decisiva l’influenza del dualismo platonico anima-corpo che garantisce l’immortalità dell’anima: quindi autonomia e spiritualità dell’anima, suo stretto legame con il mondo intelligibile e divino della cui natura l’anima partecipa (anche, in alcuni autori cristiani, preesistenza dell’anima e ‘discesa’ nei corpi), in contrapposizione al regno della materia e quindi al corpo inteso come ‘carcere’ del quale ci si deve liberare per ritornare a Dio e riconquistare la propria vera natura (tema in cui anche il conoscere è un processo di liberazione dalle condizioni della materialità).

Sono posizioni che facilmente si incontravano con prospettive etiche e ascetiche del cristianesimo e che anche più profondamente operarono in certe tendenze gnostiche e docetistiche. In generale tutti i temi accennati, che non esauriscono affatto la vasta gamma delle suggestioni platoniche, ebbero una diversa e varia influenza sulla cultura cristiana dei primi secoli, ora agendo in profondità così da conferire un’impronta decisamente platonica alla speculazione cristiana (a prescindere dalle tendenze gnostiche e docetistiche cui si è fatto cenno, poi emarginate, uno degli esempi più cospicui è offerto dal pensiero dello pseudo-Dionigi Areopagita; ma influenze decisive operarono più spesso in precisi settori della speculazione cristiana come quello della dottrina dell’anima, della tematica Dio-Bene-Uno, della teologia negativa, ecc.), ora restando più in superficie, soprattutto a livello di prestiti lessicali o di temi isolati.

Tra i maggiori rappresentanti del p. cristiano dei primi secoli si collocano anzitutto i Padri alessandrini (Clemente e Origene), quindi i Padri cappadoci come Eusebio, Metodio d’Olimpo, Gregorio Nazianzeno, Gregorio di Nissa, Basilio, Evagrio e ancora Teodoreto di Ciro, Nemesio, l’autore del Corpus areopagiticum (o dionysianum). Tra i latini Agostino è l’autore che ha assorbito e utilizzato maggiormente motivi neoplatonici (soprattutto attraverso la lettura di alcune delle Enneadi), convinto della vicinanza tra Platonismo e cristianesimo (egli diceva di ritrovare nei platonici gran parte degli insegnamenti del prologo del Vangelo di Giovanni, ma non la dottrina dell’incarnazione; e moltissimi sono i temi platonici ripresi, come la dottrina dell’anima e dell’illuminazione, la nozione della materia come prope nihil, ecc.: ➔ Agostino). Attraverso l’opera di Agostino il Platonismo ha operato profondamente sulla successiva speculazione cristiana con una serie di temi che vengono trasmessi già cristianizzati e quindi non sempre avvertiti come platonici. Cospicua risulta anche l’influenza del tardo neoplatonismo greco su Boezio, soprattutto dei commentatori di Aristotele come Ammonio, dai quali derivava anche l’ideale di una concordia da realizzare tra Platone e Aristotele, sicché lo stesso Boezio diventerà un tramite di dottrine platoniche al Medioevo.

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Blaise Pascal. Filosofia e Religione. Lezione marzo 2020

Filed under: FILOSOFIA RELIGIONE,LEZIONI DI RELIGIONE — giacomo.campanile @ 09:25

Blaise Pascal (Clermont-Ferrand, 19 giugno 1623 – Parigi, 19 agosto 1662) è stato un matematico, fisico, filosofo e teologo francese.

Bambino prodigio, fu istruito dal padre. I primi lavori di Pascal sono relativi alle scienze naturali e alle scienze applicate. Contribuì in modo significativo alla costruzione di calcolatori meccanici e allo studio dei fluidi. Egli ha chiarito i concetti di pressione e di vuoto per ampliare il lavoro di Torricelli. Pascal scrisse importanti testi sul metodo scientifico.

 

A sedici anni scrisse un trattato di geometria proiettiva e dal 1654 lavorò con Pierre de Fermat sulla teoria delle probabilità che influenzò fortemente le moderne teorie economiche e le scienze sociali. Dopo un’esperienza mistica seguita ad un incidente in cui aveva rischiato la vita, nel 1654, abbandonò matematica e fisica per dedicarsi alle riflessioni religiose e filosofiche. Morì due mesi dopo il suo 39º compleanno, nel 1662, dopo una lunga malattia che lo affliggeva dalla fanciullezza.

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Devozione mariana e Religione. Lezione maggio 2020

Filed under: LEZIONI DI RELIGIONE — giacomo.campanile @ 09:24

Venerazione di Maria nella Chiesa cattolica. Video 1. Video 2. Video 3. Video 4

Nella Chiesa cattolica la venerazione per Maria, madre di Gesù, comprende varie devozioni mariane quali la preghiera, atti pii, arti visive, poesia e musica dedicate alla Beata Vergine Maria.

La Santa Sede ha insistito sull’importanza della distinzione tra “vera e falsa devozione, e l’autentica dottrina dalle sue deformazioni per eccesso o difetto”. Ci sono decisamente più titoli, feste e pratiche devozionali mariane fra i cattolici romani che in altre tradizioni cristiane. Il termine hyperdulia (=venerazione) indica la speciale devozione dovuta a Maria, più grande dell’ordinaria dulia (=venerazione) per altri santi, ma completamente diversa dalla latria dovuta solo a Dio.

Il termine “Mariolatria” usato dai Protestanti, riferito ad un’eccessiva devozione cattolica per Maria, è un dispregiativo.

Credere nella incarnazione di Dio Figlio attraverso Maria è la base per cui viene chiamata la Madre di Dio, dichiarato dogma nel Concilio di Efeso nel 431. Nel Concilio Vaticano II e nell’enciclica Redemptoris Mater di papa Giovanni Paolo II, si parla di lei anche come madre della Chiesa.

Maria Fiore dell'umanità I dogma mariani - ppt scaricare

Convegno Diocesano di Roma 17 Giugno 2013

Filed under: PAPA — giacomo.campanile @ 09:19

discorso fantastico…

http://www.youtube.com/watch?v=MVuPvZskLwI

Discorso d’apertura. Papa Francesco.

4 Giugno 2013

ORA SI E’ COMPIUTA LA SALVEZZA. Musica di Giacomo Campanile 1979

Filed under: ORA SI E' COMPIUTA LA SALVEZZA — giacomo.campanile @ 21:32

La Potenza di Gesù Cristo

LA POTENZA. TESTO. APOCALISSE 21

Ora si è compiuta la salvezza,
il Regno del nostro Dio
e la potenza del suo Cristo:
Maranatha, Maranatha.

Poichè è stato precipitato
l’accusatore dei fratelli
colui che sempre l'accusava
davanti al nostro Dio
giorno e notte

Per sempre essi lo hanno vinto 
con il sangue dell'Agnello 
testimoniando col martirio
la fedeltà al Dio vivente
fino a morire


Esultate dunque o genti,
voi che abitate in essi 
rallegratevi e gioite 
la suo gloria è in mezzo a noi
Cristo ha vinto!

MUSICA DI GIACOMO CAMPANILE

  1. LA POTENZA,
  2. LA POTENZA AL MONTALE 2006
  3. POTENZA DEL 2012
  4. POTENZA 2019 CON TESTO

HO COMPOSTO QUESTO CANTO NEL 1979, è STATO SCELTO COME CANTO DEL CONVEGNO DI NAPOLI DELLA COMUNITA’ MARIA.

ORA SI È COMPIUTA LA MIA SALVEZZA

fa                  sol             la-

Ora si è compiuta la salvezza,

fa     sol             la-

il Regno del nostro Dio

fa        sol         la-

e la potenza del suo Cristo:

sol

Maranatha, Maranatha.

do             sol        re-

Poichè è stato precipitato

do       sol            re-

l’accusatore dei fratelli

sol                       re-

e le tenebre e la morte

sol                      re-

non avranno più potere.

la-

Cristo ha vinto!

E per sempre abbiamo vinto

col sangue sparso dell’Agnello,

noi viviamo la sua storia,

respiriamo la sua gloria.

Cristo ha vinto!

Sono io l’alfa e l’omega,

il principio e la fine,

a chi ha sete io darò

l’acqua della vita eterna.

Cristo ha vinto!

Cieli nuovi e terre nuove

il Signore ha dato già.

Esultate dunque o genti,

questa è vera libertà.

Cristo ha vinto!

LA MIA VERSIONE ORIGINALE

CON I MIEI STUDENTI

https://www.youtube.com/watch?v=HiQ0Q-jTREQ

2 Giugno 2013

Jesus bleibet meine Freude. Gesù gioia. J.S.Bach

Filed under: J.S.BACH — giacomo.campanile @ 07:32

https://www.youtube.com/watch?v=S6OgZCCoXWc

Jesus bleibet meine Freude (dalla Cantata BWV 147)

Scritto da coro a 4 voci e orchestra

Jesus bleibet meine Freude è il titolo del celebre corale di Johann Sebastian Bach, tratto dalla Cantata BWV 147. Esso è caratterizzato da un flusso melodico ininterrotto eseguito dall’organista, che si intreccia con gli interventi saltuari del coro. La melodia organistica si interrompe solo durante due versi cantati dal coro, Jesus bleibet meine Freude Jesus wehret allem Leide, quasi a voler sottolineare il senso statico di quelle parole: Cristo resta in eterno la gioia dell’anima e può fermare la sofferenza umana. In tutti gli altri versi la melodia affidata all’organo esprime il flusso ininterrotto di energia spirituale che promana da Cristo, come espresso dal testo con termini quali “linfa”, “forza”, “consolazione”.

Testo

Jesus bleibet meine Freude
Meines Herzens Trost und Saft,
Jesus wehret allem Leide,
er ist meines Lebens Kraft,
meiner Augen Lust und Sonne,
meiner Seele Schatz und Wonne,
darum lass ich Jesum nicht
aus dem Herzen und Gesicht.

Traduzione

Gesù rimane la mia gioia,
linfa e consolazione del mio cuore,
Gesù pone termine a ogni sofferenza,
è la forza della mia vita,
sole e brama dei miei occhi,
delizia e tesoro della mia anima,
perciò non lascio Gesù
lontano dal cuore e dallo sguardo.

J.S. Bach Cantata 147. Jesus bleibet meine Freude

Filed under: J.S.BACH — giacomo.campanile @ 07:15

Jhttps://www.youtube.com/watch?v=RLsQ-_jnxeQ

Herz und Mund und Tat und Leben (tedesco Cuore e bocca e azione e vita), BWV 147 o BWV 147a, è una cantata sacra di Johann Sebastian Bach. Venne composta in buona parte a Weimar nel 1716 (BWV 147a) per l’Avvento, e venne ampliata nel 1723 a Lipsia per la festa della Visitazione (BWV 147). La prima esecuzione ebbe luogo il 2 luglio 1723.

Christopher Parkening – Bach: Jesu, Joy of Man’s Desiring Cantana BWV 147

Filed under: J.S.BACH — giacomo.campanile @ 06:56

CANTI DI PASQUA. Religione e musica. Che gioia ci hai dato. Religione, musica e arte. Canti e colori della Pasqua. Bach Fugue BWV 1001 PER CHITARRA

Filed under: J.S.BACH — giacomo.campanile @ 05:48

Religione, musica e arte. Canti e colori della Pasqua.

https://www.librettocanti.it/mod_canti_gestione

Rit. Cristo nostra Pasqua (4 volte)

testo Musiche di Giacomo Campanile

in Gesù siamo amati

in Gesù siamo salvati

in Gesù siamo perdonati

in Gesù siamo Liberati.

Rit.

Io sono risorto o Padre

io sono di nuovo con te

Ha vinto l’amore di Dio

lo Spirito ci da la vita.

Rit.

Se siamo risorti con Cristo

pensiamo alle cose di Dio

io ho incontrato il Signore sono nella gioia piena.

Che gioia ci hai dato

Che gioia ci hai dato, Signore del cielo,
Signore del grande universo.
Che gioia ci hai dato, vestito di luce,
vestito di gloria infinita, vestito di gloria infinita.

Vederti risorto, vederti Signore,
il cuore sta per impazzire.
Tu sei ritornato, tu sei qui tra noi
e adesso ti avremo per sempre
e adesso ti avremo per sempre.

Chi cercate, donne, quaggiù?
Chi cercate, donne quaggiù?
Quello ch’era morto non è qui:
è Risorto! Sì, come aveva detto anche a voi.
Voi gridate a tutti che è risorto Lui,
tutti che è risorto Lui!

Tu hai vinto il mondo, Gesù,
tu hai vinto il mondo, Gesù, liberiamo la felicità.
E la morte, no, non esiste più,
l’hai vinta tu e hai salvato tutti noi, uomini con te,
tutti noi, uomini con te.

Uomini con te, uomini con te.
Che gioia ci hai dato, ti avremo per sempre.

Risuscitò

Risuscitò, risuscitò
Risuscitò, alleluia!

La morte, dove sta la morte
Gesù ha vinto la morte
Perché risuscitò

Allegria, allegria fratelli
Che se oggi noi viviamo
È perché risuscitò

Se con Lui moriamo
Con Lui viviamo
Con Lui cantiamo: Alleluia

Le tue mani

Le tue mani son piene di fiori:
dove li portavi, fratello mio?
Li portavo alla tomba di Cristo
ma l’ho trovata vuota, sorella mia.

Alleluia (4 v)

I tuoi occhi riflettono gioia:
dimmi cosa hai visto, fratello mio?
Ho veduto morire la morte!
Ecco cosa ho visto, sorella mia.

Alleluia (4v.)

Hai portato una mano all’orecchio
dimmi cosa ascolti fratello mio?
Sento squilli di trombe lontane!
Sento cori d’angeli sorella mia.

Alleluia (4)

Stai cantando un’allegra canzone:
dimmi perché canti, fratello mio?
Perché so che la vita non muore:
ecco perché canto, sorella mia.

Non c’è in Lui bellezza (Kiko Arguello)

Non c’è in Lui bellezza,
non c’è in Lui splendore,
che attiri i nostri sguardi
né aspetto che possa piacere.
Disprezzato, rifiuto degli uomini;
uomo dei dolori, Lui che conosce ogni miseria.

Davanti a Lui si copre il volto,
davanti a Lui si copre il volto,
davanti a Lui si copre il volto,
davanti a Lui si copre il volto.

Maltrattato, considerato niente,
disprezzato, rifiuto degli uomini,
uomo dei dolori, Lui che conosce ogni miseria.

Davanti a Lui si copre il volto,
davanti a Lui si copre il volto,
davanti a Lui si copre il volto,
davanti a Lui si copre il volto.

Ma prese Lui sopra di sé tutti i peccati,
Ma prese Lui sopra di sé tutti i dolori.

Tutti noi camminavamo nell’errore.
Maltrattato, ma Lui si sottomise,
non aprì bocca,
Come l’agnello condotto al macello.
Davanti a Lui…
Maltrattato! Maltrattato! Maltrattato!

IL SERVO DI JHAVE’. Musiche di Giacomo Campanile

Ecco il mio servo che io sostengo

Il mio eletto In cui mi compiaccio

Ho posto il mio spirito su di lui
Porterà il diritto alle nazioni.
Non griderà nè‚ alzerà il tono
Non farà udire in piazza la sua voce
Non spezzerà una canna incrinata
non spegnerà una fiamma smorta
Proclamerà il diritto con fermezza
Non verrà meno non si abbatterà (2 volte)
Così dice il Signore Dio
Che crea i cieli e li dispiega:
“Io sono il Signore
Ti ho creato per la giustizia
E ti ho preso per mano.
Ti ho stabilito
come alleanza del popolo
E luce delle nazioni
Perchè tu apra gli occhi ai ciechi
Per liberare i prigionieri.
Io sono il Signore questo è il mio nome: Non cederò la mia gloria ad altri”. (2 volte)

GETZEMANI. TESTO MUSICA DI GIACOMO CAMPANILE

Uscito se ne andò,
al monte degli ulivi
Anche i discepoli lo seguivano
ed egli disse loro loro:

Rit. Pregate per non entrare in  tentazione .

Poi si allontano quasi un tiro di sasso
e inginicchiatosi pregava

Rit. Padre se vuoi allontana questo calice (ancora una volta)
Tuttavia non sia fatta la mia
Ma la tua volontà (2 volte)

Gli apparve allora un angelo
Dal cielo a confortarlo
In preda all’angoscia
Pregava più intensamente

Rit. E il suo sudore diventò
Come gocce di sangue
Che cadevano per terra (4 volte)

https://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=M68Bvdx-iL8#!

Alleluia di Taizè (Canto per Cristo)

RIT.: Alleluia, allelu alleluia, alleluia, alleluia.
Alleluia, allelu alleluia, alleluia, allelu- ia!

1. Canto per Cristo che mi libererà
quando verrà nella gloria,
quando la vita con Lui rinascerà
alleluia, allelu – ia!

RIT
2. Canto per Cristo in Lui rifiorirà
ogni speranza perduta;
ogni creatura con Lui risorgerà
alleluia, alleluia!

RIT.
3. Canto per Cristo: un giorno tornerà
festa per tutti gli amici
festa di un mondo che più non morirà
alleluia, alleluia!

RIT.
4. Cercate prima il Regno di Dio
e la sua giustizia
e tutto il resto vi sarà dato in più
alleluia, alleluia! RI

TI ESALTO DIO, MIO RE
Ti esalto Dio mio re canterò in eterno a Te: io voglio lodarti
Signor e benedirti, Alleluia!
1. Il Signore è degno di ogni lode, non si può misurar la sua grandezza.
Ogni vivente proclama la sua gloria, la sua opera è giustizia e verità.

Rit.
2. Il Signore è paziente e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia. Tenerezza
per ogni creatura, il Signore è buono verso tutti.

Rit.
3. Il Signore sostiene chi vacilla e rialza chiunque è caduto. Gli occhi di
tutti ricercano il suo volto, la sua mano provvede loro il cibo.

Rit.
4. Il Signore protegge chi lo teme ma disperde i superbi di cuore. Egli
ascolta il grido del suo servo, ogni lingua benedica il suo nome. Rit.

GRANDI COSE
Grandi cose ha fatto il Signore per noi, ha fatto germogliare fiori
fra le rocce. Grandi cose ha fatto il Signore per noi, ci ha
riportati liberi alla nostra terra.
Ed ora possiamo cantare, possiamo gridare l’amore che Dio ha
versato su noi.
Tu che sai strappare dalla morte, hai sollevato il nostro viso dalla polvere.
Tu che hai sentito il nostro pianto, nel nostro cuore hai messo un seme di
felicità.
IL TUO POPOLO IN CAMMINO
Il tuo popolo in cammino cerca in Te la guida; sulla strada verso
il Regno sei sostegno col tuo corpo: resta sempre con noi, o
Signore!
1. È il tuo pane, Gesù, che ci dà forza e rende più sicuro il nostro passo. Se
il vigore nel cammino si svilisce, la tua mano dona lieta la speranza.
2. È il tuo vino, Gesù, che ci disseta e sveglia in noi l’ardore di seguirti. Se
la gioia cede il passo alla stanchezza, la tua voce fa rinascere freschezza.
3. È il tuo corpo, Gesù, che ci fa Chiesa, fratelli sulle strade della vita. Se il
rancore toglie luce all’amicizia, dal tuo cuore nasce giovane il perdono.
4. È il tuo sangue, Gesù, il segno eterno dell’unico linguaggio dell’amore.
Se il donarsi come te richiede fede, nel tuo Spirito sfidiamo l’incertezza

Servo per amore

Una notte di sudore
Sulla barca in mezzo al mare
E mentre il cielo si imbianca già,
Tu guardi le tue reti vuote.
Ma la voce che ti chiama
Un altro mare ti mostrerà
E sulle rive di ogni cuore,
Le tue reti getterai.
Offri la vita tua come Maria
Ai piedi della croce
E sarai servo di ogni uomo,
Servo per amore,
Sacerdote dell’umanità.

Avanzavi nel silenzio
Fra le lacrime e speravi
Che il seme sparso davanti a Te
Cadesse sulla buona terra.
Ora il cuore tuo è in festa
Perché il grano biondeggia ormai,
è maturato sotto il sole,
Puoi riporlo nei granai.
Offri la vita tua ….

Pane del cielo

Pane del Cielo
sei Tu, Gesù,
via d’amore:
Tu ci fai come Te.

No, non è rimasta fredda la terra:
Tu sei rimasto con noi
per nutrirci di Te,
Pane di Vita;
ed infiammare col tuo amore
tutta l’umanità.

Pane del Cielo
sei Tu, Gesù,
via d’amore:
Tu ci fai come Te.

Sì, il Cielo è qui su questa terra:
Tu sei rimasto con noi
ma ci porti con Te
nella tua casa
dove vivremo insieme a Te
tutta l’eternità.

Pane del Cielo
sei Tu, Gesù,
via d’amore:
Tu ci fai come Te.

No, la morte non può farci paura:
Tu sei rimasto con noi.
E chi vive in Te
vive per sempre.
Sei Dio con noi, sei Dio per noi,
Dio in mezzo a noi.

CHI CREDE IN ME
Chi crede in me
farà le stesse cose che ho fatto io
e ancora di più grandi ne farà
perché io vado al Padre.

Andate per il mondo,
annunciate la verità
ed il Padre confermerà
coi miracoli la vostra parola.

Guarite i malati, mondate i lebbrosi
e dovunque voi andrete,
il mio Spirito vi guiderà.

I segni della mia gloria
sono amore e verità
io li dono a chiunque
nel mio nome crederà.

Chi crede in Gesù
può fare le stesse cose
che ha fatto Lui
e ancora di più grandi ne farà,
e ancora di più grandi.

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