24 Aprile 2013

Festa di san Marco Evangelista

Filed under: articoli,SANTI — giacomo.campanile @ 22:46
immagineFesta di san Marco, Evangelista, che a Gerusalemme dapprima accompagnò san Paolo nel suo apostolato, poi seguì i passi di san Pietro, che lo chiamò figlio; si tramanda che a Roma abbia raccolto nel Vangelo da lui scritto le catechesi dell’Apostolo e che abbia fondato la Chiesa di Alessandria.La figura dell’evangelista Marco, è conosciuta soltanto da quanto riferiscono gli Atti degli Apostoli e alcune lettere di s. Pietro e s. Paolo; non fu certamente un discepolo del Signore e probabilmente non lo conobbe neppure, anche se qualche studioso lo identifica con il ragazzo, che secondo il Vangelo di Marco, seguì Gesù dopo l’arresto nell’orto del Getsemani, avvolto in un lenzuolo; i soldati cercarono di afferrarlo ed egli sfuggì nudo, lasciando il lenzuolo nelle loro mani.
Quel ragazzo era Marco, figlio della vedova benestante Maria, che metteva a disposizione del Maestro la sua casa in Gerusalemme e l’annesso orto degli ulivi.
Nella grande sala della loro casa, fu consumata l’Ultima Cena e lì si radunavano gli apostoli dopo la Passione e fino alla Pentecoste. Quello che è certo è che fu uno dei primi battezzati da Pietro, che frequentava assiduamente la sua casa e infatti Pietro lo chiamava in senso spirituale “mio figlio”.

Discepolo degli Apostoli e martirio

Nel 44 quando Paolo e Barnaba, parente del giovane, ritornarono a Gerusalemme da Antiochia, dove erano stati mandati dagli Apostoli, furono ospiti in quella casa; Marco il cui vero nome era Giovanni usato per i suoi connazionali ebrei, mentre il nome Marco lo era per presentarsi nel mondo greco-romano, ascoltava i racconti di Paolo e Barnaba sulla diffusione del Vangelo ad Antiochia e quando questi vollero ritornarci, li accompagnò.
Fu con loro nel primo viaggio apostolico fino a Cipro, ma quando questi decisero di raggiungere Antiochia, attraverso una regione inospitale e paludosa sulle montagnae del Tauro, Giovanni Marco rinunciò spaventato dalle difficoltà e se ne tornò a Gerusalemme.
Cinque anni dopo, nel 49, Paolo e Barnaba ritornarono a Gerusalemme per difendere i Gentili convertiti, ai quali i giudei cristiani volevano imporre la legge mosaica, per poter ricevere il battesimo.
Ancora ospitati dalla vedova Maria, rividero Marco, che desideroso di rifarsi della figuraccia, volle seguirli di nuovo ad Antiochia; quando i due prepararono un nuovo viaggio apostolico, Paolo non fidandosi, non lo volle con sé e scelse un altro discepolo, Sila e si recò in Asia Minore, mentre Barnaba si spostò a Cipro con Marco.
In seguito il giovane deve aver conquistato la fiducia degli apostoli, perché nel 60, nella sua prima lettera da Roma, Pietro salutando i cristiani dell’Asia Minore, invia anche i saluti di Marco; egli divenne anche fedele collaboratore di Paolo e non esitò di seguirlo a Roma, dove nel 61 risulta che Paolo era prigioniero in attesa di giudizio, l’apostolo parlò di lui, inviando i suoi saluti e quelli di “Marco, il nipote di Barnaba” ai Colossesi; e a Timoteo chiese nella sua seconda lettera da Roma, di raggiungerlo portando con sé Marco “perché mi sarà utile per il ministero”.
Forse Marco giunse in tempo per assistere al martirio di Paolo, ma certamente rimase nella capitale dei Cesari, al servizio di Pietro, anch’egli presente a Roma. Durante gli anni trascorsi accanto al Principe degli Apostoli, Marco trascrisse, secondo la tradizione, la narrazione evangelica di Pietro, senza elaborarla o adattarla a uno schema personale, cosicché il suo Vangelo ha la scioltezza, la vivacità e anche la rudezza di un racconto popolare.
Affermatosi solidamente la comunità cristiana di Roma, Pietro inviò in un primo momento il suo discepolo e segretario, ad evangelizzare l’Italia settentrionale; ad Aquileia Marco convertì Ermagora, diventato poi primo vescovo della città e dopo averlo lasciato, s’imbarcò e fu sorpreso da una tempesta, approdando sulle isole Rialtine (primo nucleo della futura Venezia), dove si addormentò e sognò un angelo che lo salutò: “Pax tibi Marce evangelista meus” e gli promise che in quelle isole avrebbe dormito in attesa dell’ultimo giorno.
Secondo un’antichissima tradizione, Pietro lo mandò poi ad evangelizzare Alessandria d’Egitto, qui Marco fondò la Chiesa locale diventandone il primo vescovo.
Nella zona di Alessandria subì il martirio, sotto l’imperatore Traiano (53-117); fu torturato, legato con funi e trascinato per le vie del villaggio di Bucoli, luogo pieno di rocce e asperità; lacerato dalle pietre, il suo corpo era tutta una ferita sanguinante.
Dopo una notte in carcere, dove venne confortato da un angelo, Marco fu trascinato di nuovo per le strade, finché morì un 25 aprile verso l’anno 72, secondo gli “Atti di Marco” all’età di 57 anni; ebrei e pagani volevano bruciarne il corpo, ma un violento uragano li fece disperdere, permettendo così ad alcuni cristiani, di recuperare il corpo e seppellirlo a Bucoli in una grotta; da lì nel V secolo fu traslato nella zona del Canopo.

di Giacomo Campanile
redazione@vivereroma.org

22 Aprile 2013

Il mistero degli Angeli. Conferenza del teologo senigalliese Renzo Lavatori

Filed under: Teologia — giacomo.campanile @ 21:17
immagineSabato 27 aprile 2013 ore 18,00, presso palazzo del Duca di Senigallia il teologo Renzo Lavatori presenterà il libro: Gli angeli. Storia e pensiero. Editore: Marietti 2013. Con la possibilità di intervenire con domande.Interverrà Don Renzo docente di teologia dogmatica alla Pontificia Università Urbaniana a Roma.
Conosciuto per numerose pubblicazioni sui temi fondamentali della fede e per le sue trasmissioni mensili a Radio Maria. Sito di Don Renzo Lavatori: www.mistagogia.net.

La presentazione teologica musicale del libro di Renzo Lavatori sarà allietata da interventi musicali di musica angelica, il sottotitolo della conferenza è ANGELI ADORANTI e ANGELI MUSICANTI
Suoneranno GIACOMO CAMPANILE, chitarra classica, MAURO MENCARONI, batteria e percussioni, MASSIMO SANTINI, basso.

Le musiche eseguite sono CANTI RELIGIOSI DI G. CAMPANILE Scaricati gratuitamente gli mp3 nel sito www.giacomocampanile.it

di Giacomo Campanile
redazione@vivereroma.org

19 Aprile 2013

La verità è sinfonica di Hans Urs von Balthasar .Pag 25-27

Filed under: Teologia — giacomo.campanile @ 06:29

Copertina di 'La verità è sinfonica. Aspetti del pluralismo cristiano'

Sinfonia vuol dire accordo. Un suono. Diversi strumenti suonano. Diversi strumenti suonano insieme. Una tromba basso non è un violoncello; un violoncello non è un fagotto. Il contrasto fra gli strumenti deve essere il più netto possibile, in modo che ciascuno mantenga il suo timbro inconfondibile. Il compositore deve scrivere la parte in modo tale che il timbro di ogni strumento raggiunga il suo massimo effetto. In questo campo Bach, quando trascrive i concerti di violino per il clavicembalo, apportando solo leggere modifiche, forse non è il miglior rappresentante. Maestro consumato invece è Mozart: i suoi concerti per violino, per corno o per clarinetto, mettono sempre in risalto la peculiarità specifica dello strumento. Nella vera sinfonia, però, tutti gli strumenti si fondono nell’accordo generale. Mozart possedeva a tal punto questa visione d’insieme che, talvolta, era in grado di annotare la parte di un singolo strumento per lo spazio di un intero tempo musicale, perché egli la sentiva in armonia con tutte le altre parti. Per poter esprimere tutta la ricchezza dei suoni che il compositore sente dentro di sé, l’orchestra deve essere pluralistica. Il mondo è simile a una grande orchestra che sta accordando i suoi strumenti; ognuno suona sul suo strumento una nenia monotona, mentre il pubblico affluisce e il direttore d’orchestra non è ancora arrivato. Ad un certo punto però il pianoforte suona un la, perché tutt’intorno si stabilisca una certa uniformità di suono: si accorda su qualche cosa di comune. Anche la scelta degli strumenti presenti non è casuale. Essi costituiscono già, con la diversità delle loro caratteristiche, qualche cosa come un sistema di coordinate. L’oboe, aiutato forse dal fagotto, farà da contrappunto alla parte degli archi; tuttavia non sarebbe sufficientemente efficace, se i corni non svolgessero il compito di sottofondo unitario per il dialogo dei diversi strumenti. La scelta è determinata dal disegno che provvisoriamente giace, muto, nella partitura aperta; non appena però la bacchetta del direttore d’orchestra si alzerà, richiamerà su di sé l’attenzione di tutti gli strumenti, trascinerà tutta l’orchestra con sé e allora si vedrà qual è il compito di ognuno. Con la sua rivelazione Dio sta seguendo una sinfonia, della quale non è possibile dire cosa sia più maestoso, se l’ispirazione unitaria della composizione, oppure l’orchestra polifonica della creazione, che egli si è preparato a questo scopo. Prima che la Parola di Dio si facesse uomo, l’orchestra andava invece strimpellando senza un disegno preciso: concezioni del mondo, religioni, progetti di vita politica in grande quantità; ognuno suona qualche cosa per sé. In qualche modo si ha il presentimento che questo suono cacofonico era soltanto una “accordatura”: al di sopra di tutto risuona il la, simile a una promessa. “Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti…” (Eb 1, 1). Infine giunse il Figlio, l’“erede di tutto” per il quale era stata voluta anche tutta l’orchestra. Mentre sotto la sua direzione viene eseguita la sinfonia di Dio, si svela anche il significato della sua pluralità. L’unità organica della composizione è opera di Dio. Per questo motivo il mondo era, è e sarà sempre (e, perché no, in una maniera sempre più accentuata) pluralistico. Ovviamente il mondo non riesce ad abbracciare com­pletamente la sua pluralità, perché l’unità non è mai albergata in esso, ieri non meno di oggi. Ma il significato del suo pluralismo non è quello di rifiutare l’unità di Dio, unità che Dio stesso gli ha rivelato, ma quello di aderire sinfonicamente a questa unità divina e di dare il suo assenso a tale crescente unità. Non sono peraltro previsti altri spettatori all’infuori di coloro che suo­nano: eseguendo la sinfonia divina – la cui composizione non può essere in alcun modo ricavata dagli strumenti e neppure dal loro insieme –, tutti conoscono per quale scopo sono radunati. All’inizio siedono, estranei e nemici, l’uno accanto all’altro. Improvvisamente, quando l’opera comincia, com­prendono perfettamente come tutti si integrano a vicenda. Non all’unisono, ma – cosa molto più bella – in una sinfonia. La situazione odierna da cui noi dobbiamo prendere le mosse è caratterizzata da un atteggiamento di impazienti strappi e scossoni, dati alla struttura di una unità che è sperimentata come un carcere. Non è forse un cont­rosenso quando una melodia è costretta dentro gli schemi di una fuga; quan­do la legge della fuga ne determina lo sviluppo e perfino la forma originaria? Essa vorrebbe uscire da questo condizionamento per potersi presentare e ma­nifestare allo “stato puro”. Oggi assistiamo a un potente desiderio di pervenire alla figura affascinante di Gesù Cristo, di comprendere il Cristo come egli era in sé, allo stato genuino, liberato dai funesti legami con una Chiesa istituzionale, con un mucchio di dogmi incomprensibili, di usanze sorpassate e di tradizioni sclerotizzate. Dopo le incrostazioni di duemila anni di storia, egli deve risorgere per noi nel suo primitivo, semplice e nuovo splendore. E proprio oggi l’esegesi ci dice, in modo perentorio, che noi conosciamo Gesù Cristo solo attraverso la testimonianza di fede della Chiesa primitiva; che questa fede ha contribuito alla redazione dei racconti della sua vita. Quindi noi non potremo mai strappare dal Cristo gli abiti della Chiesa. Siccome questi non si possono rifiutare, ecco che incomincia una seconda battaglia che consiste nello spogliare, nel ripulire, nel semplificare a tal punto la Chiesa attuale, ricca di tradizioni, fino a che non cominci a trasparire in essa la supposta signoria di Gesù Cristo. Inoltre bisogna mettere in discussione anche le più originarie formule di fede della Chiesa primitiva: non sono forse già anch’esse un velame, un soffocamento? Se al cavolo togliamo, una dopo l’altra, tutte le foglie, alla fin fine non ci resterà più nulla! In qualche modo non hanno forse ragione ambedue questi movimenti? La Chiesa come totalità dovrebbe certamente rispecchiare la figura del Cristo; essa non dovrebbe essere assolutamente nient’altro che questo. Se non lo è, perché meravigliarsi se dopo di essa viene attaccato anche il nucleo fon­damentale? D’altro canto: se Gesù si è dato spontaneamente alla morte, per rendersi comprensibile ai suoi discepoli come Christus totus solo al di là della morte nella sua risurrezione, apparizione e autocomprensione, allora la Chiesa non è forse il luogo, che egli stesso si è scelto, nel quale egli vuole essere presente e nel quale vuole essere incontrato? Ciò che noi chiamiamo “incarnazione di Dio” in Gesù di Nazareth si completa soltanto nella comunità dei credenti, che hanno e avvertono la missione di annunciare al mondo il suo evento e di riproporlo al mondo con la loro testimonianza. Nessuno è in grado di dire con esattezza quando la prima comunità comincia a diventare la “prima comunità cattolica”. Fin dall’inizio è presente la struttura ministeriale in Pietro ed estremamente accentuata in Paolo; fin dall’inizio è presen­te Maria, la Madre, che con Giovanni stava ai piedi della croce, pregando in mezzo alla comunità. Fin dall’inizio si battezza, si spezza il pane, si rimettono i peccati, si ungono gli ammalati, si impongono le mani, si impartiscono precise istruzioni, vengono eletti i presbiteri, viene sancito il diritto sacro, ci si appella alla tradizione. I motivi sono già intrecciati, sono già armonizzati fra loro; la fuga prende inizio. Non possiamo strappare con violenza il Cristo dalla Chiesa, ma non possiamo neppure ridurre semplicemente la Chiesa al Cristo. Se vogliamo soprattutto sentire qualche cosa di comprensibile siamo costretti ad ascoltare tutta la polifonia della rivelazione. La trasparenza in ordine al Cristo non si raggiunge distruggendo la Chiesa o sostituendola con formule comunitarie inventate da noi, ma operando in modo tale che i credenti si rendano il più possibile conformi alla realtà ecclesiale: la Chiesa infatti è corpo di Cristo e perciò la sua presenza fisica. D’altro canto anche il tentativo di voler «afferrare» Cristo è una stoltezza: egli è sempre nuovamente sfuggito di mano a coloro che volevano catturarlo; egli stesso, in tutta la sua realtà, è soltanto uno specchio: «Chi vede me, vede il Padre», «Chi conosce il Figlio, ha conosciuto anche il Padre», «La mia dottrina non è mia, ma di chi mi ha mandato», «Non trattenermi, perché non sono ancora salito al Padre». Lasciandoci condurre alle sorgenti scopriremo il suo mistero. E lo Spirito, che procede dal Padre e dal Figlio, poiché non è né il Padre né il Figlio, ma il loro reciproco amore, ci introdurrà in questo mistero. Anche la verità eterna è sinfonica.

15 Aprile 2013

LEZIONE DI RELIGIONE 15 APRILE 2013

Filed under: LEZIONI DI RELIGIONE — giacomo.campanile @ 20:21

RELIGIONE E MUSICA

DUE CTI DI BOB DYLAN CHE HANNO FATTO LA STORIA DELLA MUSICA POP

è stato classificato come il secondo più grande artista rock di tutti i tempi dalla rivista Rolling Stone, preceduto dai Beatles

Bob Dylan, nato con il nome di Robert Allen Zimmerman (Duluth, 24 maggio 1941), da famiglia ebraica, è un cantautore e compositore statunitense.

Distintosi anche come scrittore, poeta, pittore, attore e conduttore radiofonico, è una delle più importanti figure degli ultimi cinquant’anni nel campo musicale, in quello della cultura popolare e della letteratura.

Alla fine del 1978 Dylan divenne un cristiano. Il secondo album evangelico, Saved (1980), ricevette critiche contrastanti, anche se Kurt Loeder di Rolling Stone scrisse che era molto superiore, musicalmente, al suo predecessore

Dylan dice che ha accettato Gesù Cristo nel suo cuore nel 1978 dopo “una visione e sensazione” durante la quale la stanza si è mossa: “C’era una presenza nella stanza e non poteva essere nessun altro che Gesù Cristo”»

A metà estate del 1997 Dylan ritornò in tour, e in una prima data si esibì davanti a papa Giovanni Paolo II alla Conferenza Eucaristica Mondiale a Bologna. Il papa davanti ad una folla di duecentomila persone fece un sermone basato sul testo di Blowin’ in the Wind.

Blowin’ in the wind. Bob  Dylan

How many roads must a man walk down

Before you call him a man?

Yes, ‘n’ how many seas must a white dove sail

Before she sleeps in the sand?

Yes, ‘n’ how many times must the cannon balls fly

Before they’re forever banned?

The answer, my friend, is blowin’ in the wind,

The answer is blowin’ in the wind.

How many times must a man look up

Before he can see the sky?

Yes, ‘n’ how many ears must one man have

Before he can hear people cry?

Yes, ‘n’ how many deaths will it take till he knows

That too many people have died?

The answer, my friend, is blowin’ in the wind,

The answer is blowin’ in the wind.

How many years can a mountain exist

Before it’s washed to the sea?

Yes, ‘n’ how many years can some people exist

Before they’re allowed to be free?

Yes, ‘n’ how many times can a man turn his head,

Pretending he just doesn’t see?

The answer, my friend, is blowin’ in the wind,

The answer is blowin’ in the wind.

Blowin’ in the Wind è una famosa canzone di contenuto pacifista scritta da Bob Dylan nel 1962

Tre semplici strofe sono in questo caso sufficienti al compositore-poeta per interrogarsi su tematiche sociali ed esistenziali. In particolare, al centro della sua visionaria poeticità sono il senso della condizione umana e l’incapacità dell’uomo di ripudiare in maniera definitiva e totale ogni tipo di guerra

Nel ritornello – rivolto metaforicamente ad un ipotetico amico, nel quale si potrebbe identificare l’intera umanità -viene data una risposta che lascia uno spiraglio all’ottimismo: una risposta che c’è, e a portarla basterà un soffio di vento.

Knockin’ on Heaven’s Door è una canzone scritta da Bob Dylan per la colonna sonora del film Pat Garrett & Billy the Kid del 1973. Essa è poi divenuta una delle più famose canzoni del cantante.

interpretazione, si tratterebbero dei pensieri di un soldato morente; sarebbe dunque una struggente denuncia contro la guerra e le innocenti vittime che essa provoca. Quest’ultima interpretazione sarebbe attestata dalle tendenze pacifiste dell’autore e dello stesso cantante.

Knockin’ on heaven’s door” Bob Dylan

Mama take this badge from me

I can’t use it anymore

It’s getting dark too dark to see

Feels like I’m knockin’ on heaven’s door

Knock-knock-knockin’ on heaven’s door Knock-knock-knockin’ on heaven’s door Knock-knock-knockin’ on heaven’s door Knock-knock-knockin’ on heaven’s door

Mama put my guns in the ground

I can’t shoot them anymore

That cold black cloud is comin’ down

Feels like I’m knockin’ on heaven’s door

Knock-knock-knockin’ on heaven’s door Knock-knock-knockin’ on heaven’s door Knock-knock-knockin’ on heaven’s door Knock-knock-knockin’ on heaven’s door

The answer, my friend, is blowin’ in the wind,

The answer is blowin’ in the wind.

Quando è stato istituito l’obbligo del celibato per i sacerdoti?

Filed under: articoli,RECENZIONI — giacomo.campanile @ 14:40

Il Nuovo Testamento presenta una situazione chiara per i chiamati a esercitare un ministero nella giovane chiesa. Dato il contesto culturale dell’epoca, è presumibile che gli apostoli fossero sposati. Certamente lo fu Pietro, del quale si ricorda la suocera. Secondo la tradizione, l’unico apostolo non sposato sarebbe stato Giovanni.

Le lettere pastorali offrono una testimonianza più limpida. A Timoteo si raccomanda che gli episcopi siano «irreprensibili, mariti di una sola donna, sappiano guidare bene la propria famiglia e abbiano figli sottomessi e rispettosi, perché se uno non sa guidare la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di Dio?» (1Tim 3,2-5). La medesima indicazione si ha per i diaconi, che «siano mariti di una sola donna e capaci di guidare bene i figli e le proprie famiglie» (1Tim 3,12). A Tito è rivolta una raccomandazione simile: ogni presbitero, che lui dovrà stabilire nelle varie città dell’isola di Creta, «sia irreprensibile, marito di una sola donna e abbia figli credenti, non accusabili di vita dissoluta o indisciplinati» (cf Tt 1,5-6).

Anche se in questo tempo dell’era apostolica non è stata ancora chiarita la distinzione fra le varie figure nominate, i termini episcopi e diaconi, corrispondono certamente figure di ministeri ordinati. Per la loro scelta, dunque, non solo il matrimonio non è un impedimento, ma deve essere valutata la loro capacità di guidare la propria famiglia. L’indicazione di essere sposati con una sola moglie dipende dalla prospettiva condivisa nelle prime generazioni cristiane dell’unico matrimonio durante la vita terrena.

Nei secoli seguenti, l’influsso culturale dell’epoca favorì l’inserimento di una visione sacrale, che richiedeva la continenza per coloro che avevano la presidenza del culto, soprattutto dell’eucaristia. Questa idea di «purità rituale» era molto diffusa, anche al di fuori della tradizione giudaica. Pertanto, pur ordinando soprattutto uomini sposati, si cominciò a chiedere loro una continenza sempre più ampia ed estesa, e non solo nei giorni in cui avrebbero celebrato l’eucaristia. Le prime testimonianze in tal senso sembrano essere attestate dal concilio di Elvira (Spagna, inizi del IV secolo), che al canone 33 prescrive l’astensione dai rapporti coniugali per il clero sposato.

Una testimonianza più chiara l’abbiamo nella lettera del 385 di papa Siricio al vescovo di Tarragona. Il papa chiede che l’ordinazione a qualunque ministero, episcopale, presbiterale o diaconale, sia riservata a uomini sposati una volta sola. Al tempo stesso si proibisce che generino figli, perché sono tenuti a osservare la purità rituale: se sacerdoti e leviti d’Israele dovevano osservarla durante il loro servizio al tempio, i ministri della chiesa sono chiamati ad un servizio senza interruzione.

Il processo continua sotto la medesima prospettiva, attraverso vari interventi magisteriali, trovando una divaricazione fra le tradizioni orientale ed occidentale. L’Oriente cristiano continua l’ordinazione di uomini sposati, chiedendo loro di astenersi dai rapporti coniugali in prossimità della celebrazione dei santi misteri. Il celibato diventa riservato alla figura del vescovo, che nella sua persona, dedita come pastore ad una precisa chiesa locale, rappresenta simbolicamente il Cristo sposo della sua Chiesa.

In Occidente il processo matura diversamente, segnato dalla considerazione negativa dei rapporti sessuali, anche se vissuti all’interno della relazione coniugale. Papa Leone magno, raccomandando a vescovi e presbiteri di trasformare la loro vita da carnale in spirituale, chiede di non allontanare le proprie mogli, ma di vivere con esse come se non fossero le loro spose. Lo stato di ministri sposati continuò ad essere diffuso nell’alto medio evo, insieme a quello del concubinato, accettato più facilmente perché non poneva problemi di eredità alla morte del ministro. Le necessarie riforme portate avanti all’inizio del secondo millennio spinsero decisamente verso una condizione celibataria del clero latino.

Dalla riforma di Gregorio VII al pontificato di Innocenzo III si sviluppa una continua e progressiva riaffermazione della necessità celibataria per il clero. La contrapposizione con la visione protestante porterà un’ulteriore radicalizzazione della norma cattolica latina. Questa è la storia, ricca di tensioni diverse, di valutazioni che mutano, di possibili aperture al futuro.

per prendere le distanze dalla promiscuità diffusa nel mondo pagano, i cristiani diventano sempre più rigoristi in materia sessuale e il Concilio di Elvira in Spagna nell’anno 300 chiede di rinunciare ai rapporti sessuali dopo l’ordinazione sacra. “È stato deciso – recita il canone 33 – di prescrivere in modo assoluto ai vescovi, ai presbiteri, ai diaconi e a tutti i chierici ordinati al sacro ministero, di astenersi dalle loro mogli e di non generare figli; chiunque lo abbia fatto sia escluso dall’onore dello stato clericale”.

Insomma possono ricevere l’Ordine Sacro uomini sposati, ma dopo averlo ricevuto dovrebbero vivere in assoluta continenza, pur continuando a convivere con le mogli. Una disposizione decisamente difficile da rispettare e tanto più da controllare; d’altra parte che il provvedimento abbia avuto scarsa attuazione lo dimostrano i successivi tentativi di farlo rispettare, effettuati dal Concilio Romano del 386 e in altri sinodi e lettere di papi.

Papa Gregorio Magno in un dipinto di Antonello da Messina
Anche nei secoli successivi le prescrizioni continuano ad essere amabilmente ignorate e tra i “bambini non autorizzati” nati da preti e vescovi figurano persino papi e santi importanti: San Gregorio Naziazieno patriarca di Costantinopoli, per esempio, era figlio di un vescovo, san Patrizio figlio di un diacono e nipote di un prete e Teodoro, papa dal 642 al 649, era figlio del vescovo di Gerusalemme. Gregorio Magno, papa dal 590 al 604, proveniva addirittura da un’intera dinastia di pontefici, mentre Ormisda, papa dal 514 al 523 e venerato come santo, aveva un figlio, anch’esso santo – Silverio – diventato a sua volta papa nel 537.

Per porre rimedio al fenomeno, intorno al 500 si ritiene più semplice e sicuro riservare l’ordinazione sacerdotale a uomini celibi, con l’obbligo che tali rimangano.

Di fatto però, si tratta di una regola instabile e per tutto il Medioevo moltissimi uomini di chiesa continuano a sposarsi e a fare figli impunemente, tanto che quello del celibato dei sacerdoti diventerà uno dei cardini della Riforma dell’XI secolo.

La moralizzazione delle strutture della Chiesa avviata nel 1049 da papa Leone IX prevede infatti anche una dura lotta contro quello che viene definito il “concubinaggio” dei preti. Anche il successore Vittore III, con l’aiuto di Ildebrando di Soana, si impegna a fondo per debellare il fenomeno considerato ormai una delle principali piaghe del clero e papa Niccolò II, fatto eleggere da Ildebrando nel 1058, proibisce ancora una volta ai preti di prendere moglie e intima a chi ce l’ha di abbandonarla, pena il decadimento.

Nel frattempo si consuma la rottura con la Chiesa Ortodossa, dove la questione del celibato ecclesiastico viene risolta in modo completamente diverso.

Ancora oggi gli ortodossi continuano infatti ad ordinare preti solo uomini sposati, mentre i vescovi vengono scelti esclusivamente tra i monaci: in Oriente abbiamo quindi un clero sposato e una gerarchia celibe, con una netta differenza tra preti e monaci.

Nella chiesa orientale, infatti, oltre agli ortodossi esistono anche i cosiddetti “cattolici di rito greco”, ovvero cristiani che seguono la liturgia e le prassi della Chiesa ortodossa pur riconoscendo l’autorità del Papa. I loro preti, anche se cattolici, possono essere sposati. Un altro caso è quello degli ex protestanti: sin dal 1956 Pio XII ha permesso l’ordinazione di preti anglicani sposati che si convertono al cattolicesimo, senza chiedere loro di lasciare la moglie.

In occidente accade esattamente il contrario: nel corso del Medioevo si accresce sempre di più la tendenza a clericarizzare i monaci e i frati (ordinandoli quasi tutti preti e affidandogli parrocchie) e a “monasticizzare” i preti. Di fatto, nella Chiesa Cattolica medievale guidata da molti papi monaci, il prete secolare viene trasformato quasi in una sorta di “brutta copia” del frate e diventerà sempre più difficile, per il fedele comune, distinguere il sacerdote “laico” dall’appartenente a una famiglia religiosa.

immagineIn questi giorni è uscito un bel libro di Don Renzo Lavatori sugli angeli con il titolo:” Gli angeli. Storia e pensiero” per le edizioni Marietti. Il testo è unico nel suo genere, è una sintesi teologica magistrale sul mistero dell’angelo argomento di estrema attualità.E’ la trattazione più completa e più documentata di come la figura dell’angelo sia stata vista e approfondita nella tradizione cristiana. Non è soltanto una rassegna storiografica o dottrinale, ma anche un testo in cui il lettore può entrare con intima soddisfazione nel mondo affascinante degli angeli, in modo che la loro presenza e la loro azione si incarnino nelle vicende storiche e reali sia di ogni individuo sia della umanità in genere. Il libro assicura la fedeltà ai dati della rivelazione biblica e alla dottrina della Chiesa.

Si auspica che l’autore presentI questo ottimo libro anche nella nostra città diocesi  in cui è incardinato e svolge il suo ministero nei periodi estivi.

di Giacomo Campanile

redazione@vivereroma.org

Ironi Spuldaro il più grande carismatico e taumaturgo cattolico. MASSIME APRILE 2013

Filed under: MASSIME — giacomo.campanile @ 14:40

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Genti tutte, lodate il Signore,
popoli tutti, cantate la sua lode.

Perché forte è il suo amore per noi
e la fedeltà del Signore dura per sempre.
salmo 117

Nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore. Rm 14, 7-9

Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.

DIGIUNO AMORE E GUARIGIONE. SIAMO SULLA BUONA STRADA
Messaggio del 18 agosto 1982:Per la guarigione dei
malati é necessaria una fede salda, una preghiera
perseverante accompagnata dall’offerta di digiuni e
sacrifici. Non posso aiutare coloro che non pregano e
non fanno sacrifici. Anche quelli che sono in buona
salute devono pregare e digiunare per i malati. Quanto più credete fermamente e digiunate per la
stessa intenzione di guarigione, tanto più saranno
grandi la grazia e la misericordia di Dio. E bene
pregare imponendo le mani sui malati ed é bene
anche ungerli con olio benedetto. Non tutti i
sacerdoti hanno il dono di guarire: per risvegliare questo dono il sacerdote deve pregare con
perseveranza, digiunare e credere fermamente.

“La tristezza è del diavolo.”
(Papa Francesco)

Non amate per la bellezza, perché un giorno finirà. Non amate per l’ammirazione, perché un giorno vi deluderà. Amate e basta , perché il tempo non può far finire un amore che non ha spiegazioni .

( Madre Teresa di Calcutta )

Nella vita non contano i respiri, ma i momenti che ti hanno tolto il respiro

Ferie: i 6 giorni di ferie fruiti durante le attività didattiche sono un diritto solo a determinate condizioni

Filed under: DOCENTE — giacomo.campanile @ 07:11

Marilena – Chiedo,cortesemente,delucidazioni in merito alla fruizione dei sei giorni di ferie per il personale docente. Prescinde o dipende dalla discrezionalità del dirigente scolastico? Non è ,forse,un diritto dell’insegnante poter usufruire di questi giorni di ferie nel corso dell’anno scolastico?Attendo vostre notizie ringraziandovi anticipatamente. Cordiali saluti.

Paolo Pizzo – Gentilissima Marilena,

i 6 giorni di ferie da fruire durante il normale svolgimento delle attività didattiche non sono un diritto del docente. Non bisogna infatti confonderli con la richiesta dei giorni per motivi familiari.

Il comma 9 dell’art. 13 del CCNL/2007 prescrive che le ferie devono essere fruite dal personale docente durante i periodi di sospensione delle attività didattiche; durante la rimanente parte dell’anno, la fruizione delle ferie è consentita al personale docente per un periodo non superiore a sei giornate lavorative. Per il personale docente la fruibilità dei predetti sei giorni è subordinata alla possibilità di sostituire il personale che se ne avvale con altro personale in servizio nella stessa sede e, comunque, alla condizione che non vengano a determinarsi oneri aggiuntivi anche per l’eventuale corresponsione di compensi per ore eccedenti, salvo quanto previsto dall’art. 15, comma 2.

L’art. 15/2 prevede che “Il dipendente, inoltre, ha diritto, a domanda, nell’anno scolastico, a tre giorni di permesso retribuito per motivi personali o familiari documentati anche mediante autocertificazione. Per gli stessi motivi e con le stesse modalità, sono fruiti i sei giorni di ferie durante i periodi di attività didattica di cui all’art. 13, comma 9, prescindendo dalle condizioni previste in tale norma”.

Come puoi quindi notare dalla lettura degli artt. citati si evincono tre cose:

I 6 giorni di ferie non sono propriamente un diritto. Possono essere fruiti durante le attività didattiche solo se vi è la possibilità di sostituire il docente richiedente le ferie con altro personale, a cui però non potranno essere pagate le ore di sostituzione. Se non si garantisce questa condizione, la sola richiesta del giorno non potrà essere accolta.

I 3 giorni di permesso per motivi familiari (e i 6 gg. non retribuiti per il personale a TD) sono invece un diritto e la richiesta di fruizione non è sottoposta ad alcun vincolo, se non quello di esplicitare il motivo della richiesta anche con autocertificazione.

L’art. 15/2 aggiunge però un ulteriore diritto per il docente: se i 6 giorni di ferie sono fruiti per motivi personali o familiari (di regola terminati i 3 giorni), possono essere fruiti dal dipendente senza bisogno che ci sia un sostituto come prevede l’art. 13/9. Infatti il secondo periodo dell’art. 15/2 recita “Per gli stessi motivi e con le stesse modalità, sono fruiti i sei giorni di ferie durante i periodi di attività didattica di cui all’art. 13, comma 9, prescindendo dalle condizioni previste in tale norma”.

11 Aprile 2013

Ferdinando Imposimato incontra i ragazzi della scuola L. Einaudi di Roma

Filed under: articoli,Piccolo coro del Montale — giacomo.campanile @ 16:22

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Ferdinando Imposimato (Maddaloni, 9 aprile 1936) è un magistrato, politico e avvocato italiano. È presidente onorario aggiunto della Suprema Corte di Cassazione.

La preside Rita Sciuto dell''Istituto Professionale per i Servizi Commerciali e Turistici L. Einaudi di Roma (che si trova in via Santa Maria alle Fornaci 1 ed è un Istituto principale di II grado) ha invitato il noto senatore Ferdinando Imposimato,Si è occupato della lotta alla mafia, alla camorra e al terrorismo: è stato il giudice istruttore dei più importanti casi di terrorismo, tra cui il rapimento di Aldo Moro (1978), l'attentato al papa Giovanni Paolo II (1981), l'omicidio del vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura Vittorio Bachelet, e dei giudici Riccardo Palma e Girolamo Tartaglione. Si occupa anche della difesa dei diritti umani. Invitato all'Istituto Einaudi  per un incontro con gli studenti che si terrà giovedì 11 alle 10 nell'aula magna dell'istituto. Per denunciare gli illeciti e i delitti mafiosi, Nel 1983, il fratello Franco viene ucciso per una vendetta trasversale. Nel 1984 viene designato come rappresentante dell'Italia a Strasburgo per i problemi del terrorismo internazionale con abuso delle immunità diplomatiche e redige la "mozione finale" approvata all'unanimità dai rappresentanti dei 16 paesi dell'Europa. Nel 1986, dopo che le continue minacce di Cosa Nostra gli fanno lasciare la magistratura, diviene consulente legale delle Nazioni Unite nella lotta alla droga. Si reca più volte, per incarico dell'ONU, nei paesi dell'America Latina per i programmi di rafforzamento del sistema legale dei paesi afflitti dal narcotraffico. L'iniziativa è aperta a tutta la cittadinanza. All'evento parteciperà il prof. Giacomo Campanile con il suo piccolo coro del Montale con canti di rilevanza sociale e di denuncia contro ogni ingiustizia.
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