Le Terme di Diocleziano furono le più grandi terme tra tutte quelle realizzate a Roma e nel mondo romano. Costruite in meno di otto anni, tra il 298 ed il 306 d.C., sugli ex “Horti Lolliani“, le Terme sorsero nella zona alta pianeggiante tra il Viminale ed il Quirinale, nell’area oggi compresa tra piazza della Repubblica e piazza dei Cinquecento e tra le vie Volturno e Venti Settembre. Per ottenere lo spazio necessario alla gigantesca costruzione che occupava un’area di circa 380 x 370 metri fu letteralmente abbattuto un quartiere con numerosi edifici privati e case d’abitazione (debitamente acquistati) e sconvolta la viabilità preesistente.
Per quanto riguarda il rifornimento idrico fu costruita una diramazione dell’Acqua Marcia detta Iovia (ovvero “di Giove”) che iniziava dopo la porta Tiburtina e terminava in una grande cisterna di forma trapezoidale (divisa in più navate da file di pilastri e lunga oltre 91 metri) popolarmente detta “Botte di Termini“, i cui resti furono demoliti nel 1876 per la costruzione della stazione ferroviaria che dalle Terme stesse prese il nome di Stazione Termini. Con l’aiuto della piantina 1 possiamo notare che lo schema planimetrico era caratterizzato da un recinto quadrangolare che racchiudeva una vasta area aperta al centro della quale si trovava l’edificio balneare.
I quattro lati del recinto, che misurava metri 361 x 376 circa, erano dotati di esedre ed altri ambienti rivolti verso l’interno: il lato nord-orientale (lungo l’attuale via Gaeta ed attraverso il chiostro grande della Certosa), aveva al centro, quasi in asse con l’attuale via Montebello, l’ingresso principale; i due lati di nord-ovest e di sud-est (oggi delimitati, rispettivamente, da via Parigi e da viale Enrico De Nicola) avevano, regolarmente intervallate, esedre ed ambienti minori, alcuni dei quali, al centro, presentavano ingressi secondari. Il quarto lato si apriva al centro di un’enorme esedra (1) del diametro di circa 140 metri che serviva da cavea per assistere alle esercitazioni ginnastiche, oggi ripetuta nelle sue linee monumentali dal colonnato ricurvo dei palazzi (ben visibili nella foto in alto sotto il titolo) dell’architetto Koch che adornano i lati di piazza della Repubblica: per questo motivo il primo nome della piazza fu proprio piazza dell’Esedra, finché nel 1960 venne rinominata piazza della Repubblica. L’esedra era fiancheggiata da due sale rettangolari (2 e 3), all’interno delle quali si presume che siano state trasferite le due biblioteche, greca e latina, provenienti dal Foro di Traiano. Ai lati delle due sale vi erano ambienti minori e due sale rotonde (4 e 5), poste proprio alle due estremità del recinto, oggi ancora ben conservate: una (4) si è trasformata nella chiesa di S.Bernardo alle Terme, mentre i nudi muri di laterizio dell’altra sala (5) si possono vedere all’angolo di via del Viminale con piazza dei Cinquecento. L’edificio balneare, al centro dello spazio aperto tenuto principalmente a giardino, era di forma rettangolare, con i lati di metri 240 x 145 circa e presentava sull’asse minore la successione di natatio (6), frigidarium (7), tepidarium (8) e calidarium (9), mentre sull’asse maggiore, simmetricamente disposti ed uguali tra loro, i vestiboli e gli spogliatoi (10 e 11) ai lati della natatio, le palestre (12) con i portici ai lati della basilica, due serie di quattro sale affiancate (13, 14, 15 e 16) all’altezza del tepidarium e del calidarium. Per immaginarne la grandezza di questo complesso basti pensare che più di 3.000 persone erano in grado di utilizzare contemporaneamente i servizi dell’impianto termale. L’odierna facciata concava in laterizio di S.Maria degli Angeli rappresenta una delle due absidi centrali del calidarium (9), mentre i pochi resti di un’altra sono visibili sulla sinistra, dinanzi al civico 10 della Facoltà di Scienze della Formazione.
La Facoltà occupa, inoltre, le aule (14, 15 e 16) situate su una delle due ali fiancheggianti il calidarium (l’altra ala non esiste più), tagliata in due dall’odierna via Cernaia, oltre la quale si trova, pressoché intatta, l’aula a pianta quadrata (13) all’esterno ed ottagona all’interno, denominata appunto Aula Ottagona. Le quattro aule (13, 14, 15 e 16) furono utilizzate nel 1575 da papa Gregorio XIII per realizzare il primo Granaio pubblico (nella foto 2, denominato Granaio Gregoriano), come conferma il grande cartiglio (nella foto 3), situato in prossimità dell’angolo con via Cernaia e sovrastato dal grande stemma della famiglia Boncompagni alla quale il pontefice apparteneva, contenente la seguente iscrizione: “GREGORIUS XIII PONT MAX ADVERSUS ANNONAE DIFFICULTATEM SUBSIDIA PRAEPARANS HORREUM IN THERMIS DIOCLETIANIS EXSTRUXIT ANNO IOBILEI MDLXXV PONT SUI III”, ovvero “Gregorio XIII Pontefice Maximo preparando ripari per la difficoltà dell’Annona costruì un granaio nelle Terme di Diocleziano nell’Anno del Giubileo 1575, terzo del suo Pontificato”. La scelta ricadde su quest’area perché offriva condizioni climatiche e morfologiche particolarmente vantaggiose: più in alto rispetto all’abitato, al sicuro dalle frequenti inondazioni del Tevere, meno umida e più ventilata, condizioni queste indispensabili per la conservazione del cereale. Il progetto di Ottavio Mascarino fu portato a termine da Martino Longhi il Vecchio: si trattava del primo nucleo dell’Annona Pontificia, che fu successivamente ampliata nel 1609 da Paolo V (Granaio Paolino), nel 1630 da Urbano VIII (Granaio Urbano) e nel 1705 da Clemente XI (Granaio Clementino).
Nello Stato Pontificio, già a partire dal Medioevo, i pontefici tenevano sotto controllo la produzione cerealicola, emanando una notevole quantità di provvedimenti legislativi. Tre erano le magistrature preposte a questo importantissimo compito di controllo della produzione dei cereali, ma anche di altre derrate alimentari: l’Annona frumentaria, l’Annona olearia ed il Tribunale della Grascia. L’Annona frumentaria si occupava dell’acquisto e della requisizione di ingenti quantitativi di grano che venivano poi conservati nei granai annonari, in previsione di annate di scarso raccolto, ne fissava il prezzo d’acquisto e ne curava la distribuzione e la vendita agli stessi fornai. Gli stessi compiti, ma per il commercio dell’olio, esercitava l’Annona olearia. Il Tribunale della Grascia invece esercitava il suo potere sugli altri commestibili (vino, olio, carne, bestiame ed altre derrate alimentari), requisendoli, fissandone il prezzo, decidendo se proibirne l’esportazione o no. Con la soppressione dell’Annona nel 1816, per volontà di Pio VII e del suo segretario di Stato cardinal Consalvi, l’edificio fu destinato nei due secoli successivi a vari usi civili: nel 1817 divenne il Deposito della mendicità, nel 1824 Pia Casa d’Industria e di Lavoro, dove i ragazzi poveri potevano imparare un mestiere, poi ospizio per anziani. Nel 1827 vi fu trasferito il carcere femminile di S.Michele a cui si aggiunse, nel 1831, quello maschile. Dopo il 1874 il Comune di Roma fece degli ex-granai gregoriani, dove era il carcere femminile, la sede della Scuola Normale Femminile. Nel 1992 l’edificio divenne la sede della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Roma Tre, mentre oggi è sede della Facoltà di Scienze della Formazione. L’aula Ottagona (13), tuttora conosciuta come il Planetario (nella foto 4), come annuncia l’iscrizione posta all’ingresso, sebbene il Planetario si sia trasferito all’EUR già da molti anni, ha ben 22 metri di diametro, con quattro nicchie semicircolari agli angoli ed una cupola a ombrello con occhio centrale.
L’aula è una delle varie sedi del Museo Nazionale Romano (che comprende anche le sedi della Crypta Balbi, di palazzo Massimo alle Terme e di palazzo Altemps) e custodisce alcune statue, in bronzo ed in marmo, provenienti da grandi complessi termali, come l’Apollo Liceo rinvenuto nelle Terme di Traiano, copia del II secolo d.C. da originale di Prassitele, e l’Afrodite di Cirene, copia della metà del II secolo d.C. di un’opera di epoca tardo-ellenistica; in precedenza vi erano custodite altre due statue molte belle e di grande importanza storica come il “Principe Ellenistico” ed il “Pugile in riposo“, rinvenute nel 1885 sul Quirinale, probabilmente sui resti delle Terme di Costantino, poi trasferite nella sede di Palazzo Massimo alle Terme. Via Cernaia taglia in due il complesso della palestra occidentale (12) alla quale appartengono, da una parte, i tre ambienti che si affacciavano affiancati lungo il suo lato orientale e dall’altra il muro di fondo absidato (visibile nella parallela via Parigi) del grande ambiente che era sul lato opposto. La chiesa di S.Maria degli Angeli (nella foto 5 la facciata) occupa invece l’area centrale delle terme (7, il “frigidarium“), mentre il vestibolo corrisponde al tepidarium (8), ovvero la sala per i bagni di acqua tiepida. La geniale trasformazione in chiesa si deve all’opera di Michelangelo, avvenuta tra il 1563 ed il 1566: l’immensa aula mantiene tuttora intatto l’aspetto antico, come le sue proporzioni, le sue misure (metri 27 x 91 circa, compresi i due ambienti laterali), la copertura con le tre enormi volte a crociera e soprattutto le otto imponenti colonne di granito rosa egiziano, monolitiche, alte circa 14 metri e con oltre 5 metri di circonferenza.
La chiesa subì vari interventi di restauro: in particolare, tra il 1727 ed il 1746 l’architetto Clemente Orlandi alterò profondamente il progetto michelangiolesco chiudendo le due entrate del transetto, lasciando solo l’entrata su piazza dell’Esedra, e murando tre degli arconi all’intersezione dei bracci al fine di ospitare le 12 pale d’altare provenienti dalla Basilica Vaticana. Pochi anni dopo, nel 1749, Luigi Vanvitelli diede al complesso l’aspetto attuale, soprattutto nella decorazione interna: creò anche una nuova facciata su piazza dell’Esedra con un portale a timpano raccordato alla chiesa tramite lesene e fasce orizzontali. Nel 1911 la facciata vanvitelliana fu rimossa per lasciare a vista la nicchia in laterizio del calidarium delle terme, come ancora oggi è possibile vedere, caratterizzata dai due ingressi ad arco. La chiesa custodisce vari monumenti funebri: nel vestibolo vi sono quelli di Carlo Maratta (nella foto 6), opera di Francesco Maratta, del cardinale Francesco Alciati, opera di G.B. Della Porta, di Salvator Rosa, opera di Bernardino Fioriti, ed infine quello di Pietro Tenerani, con busto autoritratto. L’interno della chiesa conserva le tombe di tre protagonisti della I Guerra Mondiale: il presidente del Consiglio dell’epoca Vittorio Emanuele Orlando, l’Ammiraglio Paolo Thaon Revel ed il Maresciallo Armando Diaz; nell’abside infine si trova la tomba di Pio IV.
Sul pavimento del braccio destro si trova una grandiosa meridiana (nella foto 7) denominata Linea Clementina, da Clemente XI che la fece disegnare, con i segni dello Zodiaco e le variazioni della stella polare. Delle antiche terme si conserva anche l’impronta della natatio (6), un’area di 2500 metri quadrati, oggi occupata al centro dalla tribuna vanvitelliana di S.Maria degli Angeli, che si allunga dal nicchione centrale e quadrato del monumentale prospetto antico, affiancato dagli altri quattro, alternativamente rettangolari e semicircolari. Quanto al recinto esterno, oltre alle già citate rotonde (4 e 5) del lato sudoccidentale, sono conservate anche le due esedre orientali del lato nord-est (17 e 18, entrambe ben visibili percorrendo via Gaeta), la più interna delle quali (17) era stata adibita a latrina. L’antica linea semicircolare dell’esedra è oggi ripetuta perfettamente dai due palazzi ad emiciclo realizzati tra il 1896 ed il 1902 da Gaetano Koch rievocando l’ambiente termale con i grandiosi portici dagli archi a tutto sesto e soffitto a cassettoni: il prospetto sviluppa sopra i portici in tre piani, con i primi due raccolti tra due fasce marcapiano di grande evidenza come autentiche trabeazioni con paraste ioniche giganti. Bello il coronamento con sculture in marmo.
Al centro della grande esedra si può ammirare oggi la bella Fontana delle Naiadi (nella foto in alto sotto il titolo e nella foto 8 in dettaglio), che costituisce la mostra dell’Acqua Marcia, addotta da Quinto Marcio Re nel 144 a.C. dall’alta valle dell’Aniene presso Arsoli. La storia di questa fontana inizia nella seconda metà dell’Ottocento, quando papa Pio IX impartì opportune disposizioni per la ricostruzione dell’antico Acquedotto Marcio: l’acqua, in onore del papa, fu denominata “Acqua Pia“. La prima mostra, costituita da una modesta vasca circolare a fior di terra, guizzante di zampilli sovrastati da quello centrale più potente, era priva di qualsiasi ornamento architettonico o scultoreo ed il 10 settembre 1870 fu posta, alla presenza del pontefice, presso piazza di Termini (come era denominata allora l’attuale piazza della Repubblica), seppure posta in una posizione più vicina alla Stazione Termini rispetto a quella attuale, all’incirca dove oggi si trova il monumento ai Caduti di Dogali. Gli eventi di quel tempo, indussero il popolo a coniare il motto: “Acqua Pia, oggi tua, domani mia“: dieci giorni dopo, infatti, con la presa di Roma, cadeva il potere temporale dei papi. Nel 1885, con l’approvazione del Piano Regolatore e l’avvio di importanti lavori di ristrutturazione urbana, venne decisa la sistemazione della grande piazza dell’Esedra e fu stabilito che la definitiva mostra dell’Acqua Marcia dovesse sorgere al centro della piazza stessa, a sfondo dell’asse di via Nazionale. Nel 1888, nell’area designata, venne costruita l’attuale fontana, su disegno dell’ing. A.Guerrieri: quattro modesti leoni di stucco furono sistemati sulla fontana, in occasione della visita a Roma dell’imperatore di Germania Guglielmo II. Doveva essere una sistemazione provvisoria, ma vi rimasero ben tredici anni. Nel 1897 fu approvato il progetto di Mario Rutelli (bisnonno di Francesco Rutelli) per l’allestimento della fontana, che preparò quattro colossali gruppi bronzei, raffiguranti quattro ninfe, ognuna di esse sdraiata su un animale acquatico, che simboleggiava l’acqua nelle sue diverse forme: un cavallo marino per la Ninfa degli Oceani, un serpente d’acqua per la Ninfa dei Fiumi, un cigno per la Ninfa dei Laghi, una lucertola per la Ninfa dei Fiumi sotterranei. Era il 1901: l’opera suscitò polemiche a non finire per la procacità dei nudi femminili, tant’è che la fontana rimase a lungo nascosta dentro un recinto ligneo, finché, la sera del 10 febbraio, primo giorno di Carnevale, alcuni studenti, stanchi di aspettare, abbatterono la recinzione. Ma la fontana non aveva ancora il gruppo centrale attuale: soltanto nel 1911 vi fu posto un gruppo scultoreo costituito da tre tritoni, un delfino ed un grosso polipo: i romani, sempre pronti alle battute salaci, lo avevano soprannominato “fritto misto” (il gruppo oggi è visibile nei giardini di piazza Vittorio Emanuele II).
Così, nel 1912, sempre ad opera del Rutelli, fu aggiunto il gruppo centrale attuale, del Glauco (nella foto 9), alto ben 5 metri, che simboleggia la dominazione dell’uomo sulla forza bruta della natura. È costituito da un uomo nudo, di struttura atletica, che stringe, tra le braccia vigorose, un guizzante delfino, dalla cui bocca si eleva, altissimo, un getto d’acqua che ricade sui numerosi zampilli laterali con magnifico effetto: anche questo fu ribattezzato, dai romani, “l’uomo col pesce in mano”.
Infine, da segnalare che accanto all’ingresso della chiesa di S.Maria degli Angeli è situato un bel portale bugnato (nella foto 10) sopra il quale si trova una grande iscrizione che così recita: “PROVIDENTIA OPTIMI PRINCIPIS CLEMENTIS XIII PONT MAX PUTEIS AD CONSERVATIONEM OLEI EFFOSSIS ANNONAM OLEARIAM CONSTITUIT ANNO MDCCLXIIII PONT VII”, ovvero “La preveggenza dell’Ottimo Principe Clemente XIII Pontefice Maximo eresse l’Annona Olearia nei pozzi scavati per la conservazione dell’olio nell’Anno 1764, Settimo (del suo) Pontificato”. Sotto l’iscrizione vi è una testa di leone con due rami di ulivo in bocca, sormontata da un imponente stemma di papa Clemente XIII Rezzonico. Nel 1764 infatti papa Clemente XIII autorizzò la costruzione di una riserva d’olio che, garantendo l’approvvigionamento per la città, calmierasse i prezzi del prodotto. I pozzi per lo stoccaggio dell’olio furono realizzati proprio nei sotterranei dei granai. Per la conservazione dell’olio era infatti necessario un luogo fresco e con temperatura costante ed i sotterranei gregoriani furono considerati ideali. I lavori per la realizzazione delle olearie papali furono affidati all’architetto Pietro Camporese il Vecchio, il quale fece abbattere antiche ed imponenti strutture delle Terme di Diocleziano e realizzare un gran numero di pilastri per sorreggere i granai superiori. Purtroppo non vi fu alcuna attenzione a preservare l’antico edificio termale: furono smantellati gli antichi sistemi di riscaldamento e lo stesso portale bugnato d’ingresso fu aperto nella muratura del calidarium. I pozzi realizzati furono dieci, posti su due file da cinque, all’interno di un ambiente composto da cinque corridoi con ampie volte a crociera su possenti pilastri. Le bocche delle cisterne, ognuna delle quali poteva contenere 44.000 litri, emergono dal pavimento rialzandosi da esso con una grande vera in travertino.