LORETO, DIVINO AMORE, SAN PIETRO, GERUSALEMME. MECCA, PADRE PIO, ASSISI, MADONNA DI POMPEI, SAN MICHELE AL MONTE.

Gesù, alunno della scuola di Nazareth, rientra in casa con la sua pagella.
Francamente questa pagella non è un gran che.
Sua MADRE, vedendo questa brutta pagella, non dice nulla, ma medita tutte le
cose nel suo cuore. Ma resta ancora da fare la cosa più difficile: farla
vedere a Giuseppe.
Mittente: SCUOLA SIMEONE DI NAZARETH
Destinatari: GIUSEPPE E MARIA DI DAVID
Oggetto: PAGELLA DI GESU’
MATEMATICA: non sa fare quasi niente, a parte moltiplicare pane e pesci.
Senso dell’addizione totalmente mancante. Afferma che lui e il Padre fanno
uno solo.
SCRITTURA: non porta mai quaderni e penna ed è costretto a scrivere sulla
sabbia.
GEOGRAFIA: manca totalmente di senso di orientamento. Afferma che c’è una
sola strada che conduce a suo padre.
CHIMICA: non fa gli esercizi richiesti. Quando l’insegnante è girato
trasforma l’acqua in vino per far ridere i suoi compagni.
EDUCAZIONE FISICA: invece di imparare a nuotare, come fanno tutti, lui
cammina sulle acque.
ESPRESSIONE ORALE: grosse difficoltà a parlare con chiarezza. Si esprime con
parabole.
ORDINE: ha perso tutte le sue cose a scuola e afferma pure, senza
vergognarsi, che ha una pietra per cuscino.
CONDOTTA: forte tendenza a frequentare forestieri, poveri, galeotti e anche
prostitute.
Giuseppe riflette e conclude che così non si può andare avanti e dovrà
prendere severi provvedimenti.
Chiamato il figlio gli dice: “Bene Gesù, siccome le cose sono a questo
punto, tu puoi fare una croce sulle tue vacanze di PASQUA!”.
Lo sport può spingere anche all’agonismo spirituale, cioè all’educazione delle persone affinchè ogni giorno cerchino di far vincere il bene sul male.Così ha continuato il Papa: “Cari amici, in questo Anno della fede vorrei sottolineare che l’attività sportiva può educare la persona anche all’ ‘agonismo’ spirituale, cioè a vivere ogni giorno cercando di far vincere il bene sul male, la veritá sulla menzogna, l’amore sull’odio, e questo prima di tutto in se stessi. Pensando poi all’impegno della nuova evangelizzazione anche il mondo dello sport può essere considerato un moderno ‘cortile dei gentili’, cioè un’opportunità preziosa di incontro aperta a tutti, credenti e non credenti, dove sperimentare la gioia e anche la fatica di confrontarsi con persone diverse per cultura, lingua e orientamento religioso”.
http://www.vivereroma.org/index.php?page=articolo&articolo_id=385230&fb_action_ids=10200187715324573&fb_action_types=og.likes&fb_source=aggregation&fb_aggregation_id=288381481237582
Con questa citazione del poeta francese Charles Peguy, Padre Raniero Cantalamessa, O.F.M.Cap, Predicatore della Casa Pontificia, ha cercato di spiegare il senso profondo di una “vivente Tradizione” come la chiamava Sant’Ireneo, che si è espressa nel Concilio Vaticano II.
Nella seconda predica di Avvento pronunciata oggi nella Cappella Redemptoris Mater alla presenza di Papa Benedetto XVI, padre Cantalamessa ha spiegato che sono almeno tre le chiavi di lettura del Concilio Vaticano II: aggiornamento, rottura, novità nella continuità.
La parola “aggiornamento” fu introdotta dal Beato Giovanni XXIII nell’annunciare al mondo il Concilio.
“Il ventunesimo Concilio Ecumenico – disse l’allora Pontefice – vuole trasmettere integra, non sminuita, non distorta, la dottrina cattolica […]. Occorre che questa dottrina certa ed immutabile, alla quale si deve prestare un assenso fedele, sia approfondita ed esposta secondo quanto è richiesto dai nostri tempi”.
Come è noto, durante i lavori si delinearono due schieramenti opposti, e, – spiega padre Cantalamessa – “la parola aggiornamento finì per essere sostituita dalla parola rottura”.
Secondo il Predicatore della casa Pontificia tra questi due fronti si colloca la posizione del Magistero papale che parla di “novità nella continuità”.
Paolo VI, nella Ecclesiam suam riprende la parola “aggiornamento” di Giovanni XXIII e dice di volerla tenere presente come “indirizzo programmatico”.
A dare una svolta nella interpretazione del Concilio è stato l’attuale Sommo Pontefice Benedetto XVI il quale nel discorso programmatico alla Curia romana del 22 Dicembre 2005, ha parlato di “novità nella continuità”.
Il Papa Benedetto XVI ha chiarito come i problemi della recezione degli insegnamenti del Concilio sono nati dal fatto che “due ermeneutiche contrarie si sono trovate a confronto e hanno litigato tra loro. L’una ha causato confusione, l’altra, silenziosamente ma sempre più visibilmente, ha portato frutti”.
L’attuale Pontefice non vede bene “l’ermeneutica della discontinuità e della rottura” ed ha indicato invece con favore “l’ermeneutica della riforma”.
La lettura del Concilio fatta propria dal Magistero, è per padre Cantalamessa quella della “novità nella continuità” illustrata nel “Saggio sullo sviluppo della dottrina cristiana” dal cardinal Newman, definito spesso, anche per questo, “il Padre assente del Vaticano II”.
Per comprendere il senso profondo della “novità nella continuità” padre Cantalamessa ricorda che “Gesù parlava la lingua del suo tempo; non l’ebraico che era la lingua nobile e delle Scritture (il latino del tempo!), ma l’aramaico parlato dalla gente”.
“La fedeltà a questo dato iniziale – ha aggiunto – non poteva consistere, e non consistette, nel continuare a parlare in aramaico a tutti i futuri ascoltatori del Vangelo, ma nel parlare greco ai Greci, latino ai Latini, armeno agli Armeni, copto ai Copti, e così di seguito fino ai nostri giorni. Come diceva Newman, è proprio mutando che spesso si è fedeli al dato originario”.
Dopo aver fatto notare che sia i tradizionalisti che i progressisti mancano nel cogliere l’intervento dello Spirito Santo al Concilio, padre Cantalamessa indica i frutti del Concilio, rilevando che mentre “noi guardavamo al cambiamento nelle strutture e istituzioni, a una diversa distribuzione del potere, alla lingua da usare nella liturgia, e non ci accorgevamo di quanto queste novità fossero piccole in confronto a quella che lo Spirito Santo stava operando”.
Il Predicatore rileva che al Concilio “c’è stata una nuova Pentecoste” i cui evidenti frutti sono da riconoscere nei movimenti ecclesiali, nelle parrocchie, nelle associazioni di fedeli, nelle nuove comunità, e nelle comunità di base, in cui il fattore politico non ha preso il sopravvento su quello religioso.
Giovanni Paolo II – ha ricordato padre Cantalamessa – vedeva in questi movimenti e comunità parrocchiali vive “i segni di una nuova primavera della Chiesa” e la conferma “della presenza e l’azione efficace dello Spirito Santo”.
In questo contesto il Predicatore della casa Pontificia ha indicato il Rinnovamento carismatico, o Rinnovamento nello Spirito, come “una corrente di grazia destinata a disperdersi nella Chiesa come una scarica elettrica nella massa”.
“I movimenti ecclesiali non sono esenti da debolezze e a volte anche da derive parziali . ha affermato Cantalamessa – ma quale altra grande novità è apparsa nella storia della Chiesa senza sbavature umane? Non avvenne la stessa cosa quando, nel secolo XIII, apparvero gli ordini mendicanti?”.
“I movimenti ecclesiali e le nuove comunità – ha sottolineato – non esauriscono certo tutte le potenzialità e le attese di rinnovamento del Concilio, ma rispondono alla più importante di esse, almeno agli occhi di Dio”.
Anche se ha confessato di essersi liberato dai pregiudizi contro gli ebrei e contro i protestanti, assorbiti negli anni della formazione, non per aver letto Nostra aetate, ma “per aver fatto anch’io, nel mio piccolo e per merito di alcuni fratelli, l’esperienza della nuova Pentecoste”, padre Cantalamessa afferma che in merito ai documenti del Concilio, lo Spirito Santo “spinge a studiarli e a metterli in pratica”.
Il predicatore della Casa Pontificia ha concluso la predica d’Avvento, riportando le parole di Giovanni XXIII nel discorso di chiusura della prima sessione in cui parlò del Concilio come di “una nuova desiderata Pentecoste, che arricchirà abbondantemente la Chiesa di energie spirituali”.
http://www.vivereroma.org/index.php?page=articolo&articolo_id=384889
cf. http://www.gliscritti.it/preg_lett/antologia/concilio_vaticano_2.htm
di Giacomo Campanile redazione@vivereroma.org |
BREVE VIDEO PELLEGRINAGGIO CRISTIANO
VIDEO FANTASTICO SUL SANTUARIO SAN MICHELE
L’Ebraismo antico prevedeva il pellegrinaggio al Tempio di Gerusalemme in occasione di tre feste: Pesach, Shavuot e Sukkot. In seguito alla distruzione del Secondo Tempio e alla conseguente dispersione del popolo ebraico, nella religione ebraica vennero a mancare gli spazi sacri dove effettuare i pellegrinaggi[5]. Dopo la costituzione dello stato di Israele avvenuta nel 1948, c’è stata una ripresa dei pellegrinaggi religiosi. Oggi la meta principale dei pellegrinaggi ebraici è costituita dal Muro Occidentale (meglio conosciuto come Muro del Pianto) nella Città Vecchia di Gerusalemme. Altre mete di pellegrinaggio per gli ebrei sono la Tomba dei Patriarchi, la Tomba di Rachele, la Tomba di Giuseppe
Uso metaforico del termine
Ogni viaggio, reale o metaforico, che implichi nessi con la memoria o la ricerca spirituale, può essere definito metaforicamente «pellegrinaggio».
Loreto
Le prime notizie di pellegrinaggi penitenziali diretti a una specifica meta risalgono all’VIII secolo. I pellegrini avevano anche alcuni segni non infamanti che li contraddistinguevano: il bastone (detto bordone), la schiavina (soprabito lungo e ruvido) la bisaccia in pelle per il denaro e il cibo (detta escarsela con termine provenzale), la pazienza (ossia un cordone in vita simile a quello dei frati), e i segni del santuario verso il quale si era diretti o dal quale si tornava, ben in vista sul copricapo o sul Sanrocchino (un mantello di tela cerata ispirato come forma a quello nell’iconografia di san Rocco). Sulla via del ritorno una palma, le chiavi di san Pietro o la conchiglia di san Giacomo rivelavano che il pellegrino era stato rispettivamente a Gerusalemme, Roma o Santiago di Compostela.[3]
Gli imperatori carolingi scoraggiavano tali pratiche per ragioni di ordine pubblico; nello stesso periodo i vescovi iniziarono a inviare questo particolare tipo di criminali direttamente al pontefice, affinché fosse lui a comminare la penitenza o a concedere un’assoluzione, anche se ciò causò talvolta conflitti tra alcuni vescovi e il pontefice: infatti i condannati, se pensavano di essere stati trattati con eccessiva durezza dal proprio vescovo preferivano migrare fino a Roma in cerca di pene meno severe, con un conflitto di competenza che all’epoca non era regolato da alcuna disciplina e che era segno della fatica di alcune diocesi di accettare la supremazia romana in maniera più che simbolica.
Nel mondo cattolico i pellegrinaggi per antonomasia sono quello a Gerusalemme, in Terra Santa, a Roma e a Santiago di Compostela; il termine pellegrino è usato a proposito solo per quest’ultima meta: il pellegrino diretto a Roma veniva chiamato in spagnolo romería, e anche nell’italiano antico il termine romeo indicava il pellegrino.
Nel mondo musulmano il pellegrinaggio per antonomasia è quello verso la Mecca, e tradizioni di pellegrinaggi esistono in molte altre culture e religioni: in India per esempio esistono un gran numero di luoghi sacri, che attirano fedeli dell’Induismo, Sikhismo, Buddhismo e di altre religioni e sette. In Giappone esiste un tipo di pellegrinaggio detto junrei che consiste nel visitare un numero fisso e definito di templi in un ordine dato. L’esempio più popolare di questo tipo di pellegrinaggio è il pellegrinaggio henro sull’isola di Shikoku.
Le tre mete storiche dei pellegrinaggi sono: Gerusalemme–Terra Santa, Roma, Santiago di Compostela e Canterbury. I due pellegrinaggi europei si sono svolti lungo percorsi che nel corso del tempo sono diventati celebri. I più famosi sono: il Camino francés per Santiago di Compostela e la via Francigena per Roma.
A questi tre pellegrinaggi si sono aggiunti quelli diretti ai vari Sacri Monti ed ai principali luoghi d’apparizione mariani: Guadalupe, Lourdes, Fatima, Kibeho in Rwanda, Medjugorie. Oltre che a luoghi particolari legati alla Madonna come Leuca, Częstochowa e Loreto o luoghi legati a santi particolarmente importanti come Assisi e Croagh Patrick in Irlanda.
Nel mondo cattolico i pellegrinaggi per antonomasia sono quello a Gerusalemme e in Terra Santa, e quello verso Roma. L’importanza del pellegrinaggio a Roma è evidente nel fatto che in spagnolo il pellegrinaggio si chiama romería, e anche nell’italiano antico il termine romeo indicava il pellegrino. Nell’italiano medievale il pellegrino verso la Terrasanta aveva il nome di palmizio riservando il termine pellegrino per quello verso Santiago di Compostela.
Attualmente ogni stato cattolico è legato a un particolare pellegrinaggio: per l’Italia Padova, Roma, Assisi, Loreto; per la Spagna Santiago di Compostela e Garabandal; per la Polonia Częstochowa, per il Portogallo il Santuario di Nostra Signora di Fatima, il Santuario Alexandrina di Balazar, il Santuario di Cristo-Rei; per la Francia, Lourdes; per il Messico la Basilica di Nostra Signora di Guadalupe, per l’Irlanda Croagh Patrick. Al di fuori dei paesi cattolici i pellegrinaggi principali sono quelli di Gerusalemme-Terra Santa e Medjugorie in Bosnia ed Erzegovina.