28 Aprile 2017

Poesia su Giacomo Campanile.

Filed under: Senza Categoria,TESTIMONIANZA — giacomo.campanile @ 06:34
poesialode

Poesia in rima di Don Luciano Sole che ha composto per questo genitliaco.

Arriva come un ciclone / il nostro Giacomone / mostrando il bel faccione / che sprizza simpatia / con tanta allegria / “lode, lode” e così sia // Oltre essere professore / sa fare anche il cantore / diventando educatore / dei suoi bei studenti / che li fa tutti contenti / mostrando i monumenti / di quella Roma, città santa / che dell’eternità si vanta // Basta che tu lo dici / subito sei trai suoi amici / a cui trasmette la fede / di quel Dio che tutto vede // La sua casa è accogliente / piena di tanta gente / che mangia senza pagare niente // Oggi è il giorno in cui è nato;/ facciamo gli auguri al festeggiato / che da noi sarà sempre amato

19 Aprile 2017

La Passione secondo Giovanni di Bach. BWV 245. Antonio Pappano. Rai 520180331. Bach e Mozart e la passione di Cristo. Lezione aprile 2017

Filed under: LEZIONI 2016-17 — giacomo.campanile @ 09:00

 Bach Passione secondo Giovanni

19 minuti, BWV 245 Antonio Pappano direttore Lucy Crowe soprano Ann Hallenberg contralto Andrew Staples tenore Christian Gerhaher basso Roderick

La Passione secondo Giovanni (Johannes Passion) BWV 245 è una composizione musicale sacra per voci soliste, coro, orchestra e organo di Johann Sebastian Bach, costruita sui capitoli 18 e 19 del Vangelo secondo Giovanni e inframmezzata da arie e corali composti su alcuni testi in poesia di Barthold Heinrich Brockes.

Origine dell’opera
È probabile che Bach durante il secondo periodo trascorso a Weimar (1708-1717) abbia scritto una Passione sul testo giovanneo, eseguita a Gotha nel 1717, della quale resterebbe traccia nella versione del 1725 della successiva Passione secondo Giovanni. A Köthen poi, dove ricopri l’incarico di musicista di corte dal 1717 al 1723, Bach concepì, sul finire del 1722, una nuova Passione secondo Giovanni. Non avendo a Köthen un librettista a disposizione, è probabile che Bach abbia provveduto in prima persona all’elaborazione del testo. Dal 1º giugno del 1723, all’età di trentotto anni, Bach si era insediato a Lipsia come Kantor, presso la chiesa di San Tommaso (Thomaskirche), al tempo seconda chiesa parrocchiale della città. Bach, verosimilmente, concluse solo a Lipsia la stesura della Passione Secondo Giovanni (BWV 245). Nelle intenzioni di J. S. Bach la Passione secondo Giovanni doveva essere eseguita la prima volta nella chiesa di San Tommaso, ma le rigide direttive delle autorità cittadine avevano previsto che in quell’anno la Passionmusik sarebbe dovuta essere eseguita presso la chiesa di San Nicola (Nikolaikirche), in quel tempo chiesa principale della città, e in ultimo Bach dovette cedere e ripiegare sulla Nikolaikirche. La prima esecuzione accertata della Passione secondo Giovanni ebbe quindi luogo in occasione dei vespri del Venerdì santo del 7 aprile 1724, per l’appunto presso la chiesa di San Nicola. Bach mise più volte mano alla partitura, della quale si possono contare quattro versioni. Il 30 marzo 1725 venne eseguita la seconda versione nella chiesa di San Tommaso; la terza versione, probabilmente l’11 aprile 1732, venne eseguita nella chiesa di San Nicola; la quarta versione, probabilmente il 4 aprile 1749, fu proposta nuovamente alla Thomaskirche.

Comparazione tra la Passione secondo Giovanni e la Passione secondo Matteo

La Passione secondo Giovanni è più breve (circa due ore) rispetto alla Passione secondo Matteo (circa tre ore). Nella Passione secondo Giovanni l’ambito temporale della narrazione è meno ampio rispetto alla Passione secondo Matteo, in quanto non comprende il complotto di Giuda e l’Ultima cena.[2] Per altro, nell’evoluzione dell’approccio esecutivo alle passioni di Bach si è assistito, in generale, negli ultimi anni ad una accelerazione dei tempi di esecuzione e, dunque, ad una riduzione delle durate. Si considerino, ad esempio, due esecuzioni “classiche” della Passione secondo Matteo: quella di Otto Klemperer del 1961 aveva una durata di ben 222′, mentre quella famosissima di Karl Richter del 1958 (che per lungo tempo ha costituito una sorta di standard interpretativo di riferimento), di 197′. Nelle esecuzioni contemporanee la durata della Passione secondo Matteo si attesta intorno ai 180′. La Passione secondo Giovanni nella esecuzione di Richter del 1964 durava 130′, in quella di Ton Koopman del 1994 circa 108′. Le due passioni hanno molti aspetti in comune, tuttavia anche una vena umorale di fondo sostanzialmente diversa: più teologica e meditativa quella secondo Giovanni, più drammatica quella secondo Matteo. La Passione secondo Giovanni è costantemente attraversata da accenti tragici e da passaggi di autentica trasfigurazione spirituale, seppur sia relativamente più povera di dettagli e meno sontuosa rispetto a quella secondo Matteo; inoltre, l’opera è caratterizzata da una “durezza” tipica del linguaggio antico delle cantate bachiane più importanti.

Struttura dell’opera

La Passione secondo Giovanni è strutturata secondo l’antica tradizione di “figurare” il Vangelo durante i riti della Settimana Santa. Dal testo evangelico vengono isolati alcuni episodi-chiave: l’arresto di Gesù, la partecipazione della folla alla sua condanna, la crocifissione, la morte e la deposizione nel sepolcro. Il compito di narrare gli episodi viene affidato all’evangelista, che lega l’unità narrativa di un’opera nella quale rientrano anche passaggi di preghiera che non hanno propriamente attinenza con lo svolgersi delle vicende evangeliche, come grandi corali tratti dal vastissimo repertorio della tradizione tedesca. In questa composizione sono le parole «Es ist vollbracht», cioè «tutto è compiuto», a sottolineare il sacrificio di Cristo, e la scelta di un registro musicale piuttosto movimentato, quasi fosse in corsa verso la resurrezione. Ciò che, nella Passione secondo San Giovanni, colpisce l’ascoltatore, però, è il contrasto tra la dignità di Cristo e l’agitazione dei suoi accusatori, e anche per la continuità fra questa pagina, così dura e coinvolgente, e la profonda ricerca musicale delle Cantate.

N. 68 (corale) (2′ 15”)Testo

Ach Her, lass dein lieb Engelein am letzten End’ die Seele mein in Abrahams Schoss tragen; den Leib in sein’m Schlafkämmerlein gar sanft, ohn’ ein’ge Qual und Pein, ruhn bis am jüngsten Tage!

Alsdann vom Tod erwecke mich, dass meine Augen sehen dich in aller Freud’, o Gottes Sohn, mein Heiland und Genadenthron!

Herr Jesu Christ, erhöre mich, ich will dich preisen ewiglich!

Traduzione

Ah, Signore, fa’ sì che i tuoi cari angioletti all’ultima ora portino la mia anima nel seno di Abramo; che il corpo, nella sua cameretta, ben dolcemente, senza alcuna pena o tormento, riposi fino all’ultimo giorno!

Allora risvegliami dalla morte, in modo che i miei occhi vedano te in piena gioia, o figlio di Dio, o mio Salvatore e trono di grazia!

Signore Gesù Cristo, ascoltami, io ti voglio lodare in eterno!

Lacrimosa. Requiem di MOZART.

LACRIMOSA (Coro) Lacrimosa dies illa, Qua resurget ex favilla, Judicandus homo reus. Huic ergo parce, Deus: Pie Jesu, Domine, Dona eis requiem. Amen.

Giorno di lacrime, quel giorno,quando risorgerà dal fuocol’uomo reo per essere giudicato.Ma tu risparmialo, o Dio. Pietoso Signore Gesù,dona loro riposo!Amen!

Roma chiesa San Crisogono trastevere. 12 aprile 2017

Con queste parole di Mozart scritte in una lettera al padre malato Wolfgang parla del suo rapporto con la morte ma dalle sue parole traspare come sempre fu per la sua musica serenità. ‘Dato che la morte ben guardare è la vera meta della nostra vita. Già da un paio d’anni sono in buoni rapporti con questa vera e ottima amica dell’uomo così che la sua immagine non soltanto non ha più niente di terribile ma anzi molto di tranquillizzante e consolante , ringrazio Dio per avermi concesso la fortuna e l’occasione di conoscere nella morte la chiave della nostra vera Bea titudine non vado mai a dormire senza pensare che per quanto sia giovane il giorno dopo potrei non esserci più e tutte le persone che mi conoscono nessuna potrà dire che abbia un modo di fare malinconico o tristezze. ringrazio tutti i giorni il Signore di questa beatitudine che auguro di tutto cuore a tutti gli uomini.

Alleluja di Haendel. Basilica santa Maria del popolo. TESTO

For the Lord God omnipotent reigneth.

Hallelujah! Hallelujah! Hallelujah! Hallelujah!

For the Lord God omnipotent reigneth.

Hallelujah! Hallelujah! Hallelujah! Hallelujah!

The kingdom of this world

Is become the kingdom of our Lord,

And of His Christ, and of His Christ;

And He shall reign for ever and ever,

For ever and ever, forever and ever,

King of kings, and Lord of lords,

King of kings, and Lord of lords,

And Lord of lords,

And He shall reign,

And He shall reign forever and ever,

King of kings, forever and ever,

And Lord of lords,

Hallelujah! Hallelujah!

And He shall reign forever and ever,

King of kings! and Lord of lords!

And He shall reign forever and ever,

King of kings! and Lord of lords!

Hallelujah! Hallelujah! Hallelujah! Hallelujah!

Hallelujah!

Apocalisse di Giovanni. Lezione aprile 2017

Filed under: Senza Categoria — giacomo.campanile @ 07:22

Apocalisselode

L’Apocalisse di Giovanni, o Libro della Rivelazione di Gesù Cristo, è l’ultimo libro del Nuovo Testamento. When The Saints Go Marching In. Mozart’s Requiem-III.Sequentia:Dies irae . La Potenza

Audio Bibbia in italiano✥ 27. Apocalisse / Rivelazione ✥

Apocalisse illustrata da Dürer

quiz sull’apocalisse

CANTI SULL’APOCALISSE

  1. LA POTENZA,
  2. LA POTENZA AL MONTALE 2006
  3. POTENZA DEL 2012
  4. POTENZA 2019 CON TESTO
  5. APOCALISSE
  6. When The Saints Go Marching In
  7.  E quando in ciel
  8. Mozart’s Requiem-III.Sequentia:Dies irae 
  9. Anastasio – La fine del mondo

 

L’Apocalisse di Giovanni, o Libro della Rivelazione di Gesù Cristo, è l’ultimo libro del Nuovo Testamento

L’Apocalisse è l’unico libro profetico del Nuovo Testamento. Ne è autore, secondo un’antichissima tradizione, s. Giovanni evangelista, che lo avrebbe composto mentre si trovava in esilio nell’isola di Patmos in Grecia. 

L’Apocalisse è un’opera drammatica, piena di simboli, non sempre immediatamente comprensibile.

Questo è un brevissimo riassunto dell’Apocalisse di Giovanni, ultimo libro del Nuovo Testamento. Il testo è probabilmente del 90 dopo Cristo. È possibile tuttavia determinarvi una serie di visioni che per simboli e figurazioni narrano le vicende della Chiesa nel mondo fino al ritorno del Cristo.

Dopo tre capitoli introduttivi,

L’Apocalisse di san Giovanni si apre con la visione del Trono di Dio. Colui che era seduto sul Trono aveva l’aspetto di una pietra ed intorno a Lui sedevano 24 anziani avvolti in candide vesti.

Vicino al Trono vi erano 4 esseri viventi pieni di occhi sia davanti che di dietro. Il primo aveva l’aspetto di un leone, il secondo di un vitello, il terzo di un uomo ed il quarto di un’aquila. Tutti e quattro gli esseri erano dotati di 6 ali ciascuno.

Colui che era assiso sul Trono aveva nella mano destra un libro a forma di rotolo, chiuso da 7 sigilli.
La visione continua con l’apparizione di un agnello dotato di sette corna e sette occhi che prende il libro sigillato dalla mano di Colui che siede sul Trono ed apre, uno alla volta, i 7 sigilli.

I personaggi di cui si parla in questi primi quattro sigilli, vengono  i quattro cavalieri dell’Apocalisse.

All’apertura del primo sigillo apparve un cavallo bianco con un cavaliere con in mano un arco.
All’apertura del secondo sigillo apparve un cavallo rosso fuoco e colui che lo montava aveva una grande spada ed ebbe il potere di togliere la pace dalla Terra.
All’apertura del terzo sigillo apparve un cavallo nero ed il suo cavaliere aveva in mano una bilancia.
All’apertura del quarto sigillo apparve un cavallo verde il cui cavaliere era la Morte, seguita da tutto l’Inferno, ed ebbe il potere di sterminare la quarta parte dell’umanità con la guerra, la peste e le carestie.

 

All’apertura del quinto sigillo apparve tutta la moltitudine dei martiri che chiedevano giustizia e vendetta.
All’apertura del sesto sigillo vi fu un violento terremoto.

Il Sole si oscurò e la Luna divenne rosso sangue.

Una moltitudine di stelle si abbatte sulla Terra ed i cieli si ritirarono. Quattro angeli fermarono però la distruzione della Terra, perché dovevano prima essere segnati con un marchio gli uomini che si sarebbero salvati.

Alfine questi furono segnati ed erano 144.000.

7 angeli con 7 trombe.

All’apertura del settimo sigillo, apparvero 7 angeli con 7 trombe.
Allo squillo della prima tromba, piovvero sulla Terra sangue e fuoco. Un terzo della Terra fu bruciata.
Allo squillo della seconda tromba, una grande montagna di fuoco cadde nel mare.
Allo squillo della terza tromba, cadde dal cielo una grande stella. Essa si chiamava Assenzio.
Allo squillo della quarta tromba, furono colpiti da misteriosi oggetti il Sole e la Luna.
Allo squillo della quinta tromba, un astro cadde sulla terra che si aprì e da essa uscì un gran fumo che oscurò il cielo. Dalle viscere della Terra uscì una moltitudine di enormi cavallette che iniziarono a tormentare gli uomini. Esse avevano aspetto umano, con capelli di donna e denti da leone ed il rumore delle loro ali era assordante e spaventoso. Il loro Re era l’angelo dell’abisso, lo sterminatore.
Allo squillo della sesta tromba, furono liberati 4 angeli al cui seguito vi erano milioni di cavalieri che sterminarono un terzo dell’umanità ancora superstite, ma la restante umanità ancora viveva nella perdizione e nel peccato.
Allo squillo della settima tromba, si aprirono i cieli ed apparve l’Arca dell’Alleanza.

Seguirono fulmini, tuoni, terremoti e tempeste di grandine.
A questo punto apparvero grandi segni nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle. Era incinta e gridava per le doglie e per il travaglio del parto ed alla fine partorì un figlio maschio. A lei si oppose un drago mostruoso e scoppiò una guerra nel cielo.

Michele e i suoi angeli combatterono contro il drago ed i suoi angeli, che alla fine furono precipitati sulla Terra.

Il drago precipitato sulla Terra si avventò contro la donna, ma essa riuscì a fuggire nel deserto.
Allora il drago fece uscire dal mare una bestia mostruosa con dieci corna e sette teste, col corpo simile ad una pantera, le zampe come quelle di un orso e la bocca come quella di un leone. Tutta l’umanità iniziò ad adorare la bestia ed il drago che le aveva dato il suo potere.  Sulla fronte e sulla mano destra il simbolo della bestia, il numero 666.

La visione prosegue poi con l’apparizione dell’agnello, seguito dai 144.000 eletti che non avevano il segno della bestia, ma quello dell’agnello. Questi eletti non si erano contaminati con donne, erano vergini e seguivano l’agnello dovunque andava.

Apparvero poi, uno alla volta, degli angeli che invitavano a temere ed adorare il vero Dio, annunciavano la caduta di Babilonia, e profetizzavano che tutti coloro che avevano il marchio della bestia, avrebbero subito l’ira di Dio.

Mozart’s Requiem-III.Sequentia:Dies irae 

Dopo di ciò, apparve su di una nube bianca “uno simile ad un Figlio d’Uomo” che aveva una falce in mano ed una corona sulla testa ed iniziò a mietere la Terra.

Nel cielo apparvero poi altri 7 angeli che avevano sette flagelli, gli ultimi che avrebbe dovuto subire l’umanità, affinché fosse compiuta l’ira di Dio.
Col primo flagello, gli uomini che avevano il marchio della bestia e la adoravano furono colpiti da piaghe dolorose. Col secondo, il mare divenne color sangue è perì ogni forma di vita marina. Col terzo, avvenne lo stesso in fiumi e laghi. Col quarto, il Sole si surriscaldò e gli uomini cominciarono a bruciare. Col quinto, il regno della bestia fu avvolto da fumo ed oscurità. Col sesto fu prosciugato il fiume Eufrate ed infine col settimo flagello vi fu un terribile terremoto, quale mai si era visto sulla Terra ed una voce dal cielo disse: “E’ fatto!”.

Infine venne la fine della grande Babilonia, la grande prostituta, la madre di tutti gli abomini sulla Terra, che aveva le sembianze di una donna seduta sopra una bestia scarlatta, coperta di nomi blasfemi, con sette teste e dieci corna.
A questo punto, un angelo scese dal cielo con una grande catena e la chiave dell’abisso: egli afferrò il drago, lo precipitò nell’abisso e lo incatenò per mille anni.
Trascorsi i mille anni, il drago viene liberato e, con una moltitudine di seguaci guidati da due misteriosi personaggi, Gog e Magog, tenta l’ultimo assalto agli eletti, ma, alla fine viene definitivamente sconfitto da un fuoco disceso dal cielo.
L’Apocalisse termina con la visione dei “nuovi cieli” e della “nuova terra”.

In teologia e nelle religioni, l’escatologia (dal greco antico ἔσχατος éskhatos ‘ultimo’) è una dottrina tesa a indagare il destino ultimo del singolo individuo, dell’intero genere umano e dell’universo; in quanto legata alle aspettative ultime dell’uomo (circa la vita ultramondana), l’escatologia può influire in modo notevole sulla visione del mondo e la condotta quotidiana.

L’evangelista Giovanni scrive il Libro dell’Apocalisse. Dipinto di Hieronymus Bosch (1505).

Gesù Cristo, simboleggiato come agnello, con il libro dai sette sigilli

Gesù Cristo, l’Agnello

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Il libro dai sette sigilli

Colui che era assiso sul Trono aveva nella mano destra un libro a forma di rotolo, chiuso da 7 sigilli.
La visione continua con l’apparizione di un agnello dotato di sette corna e sette occhi che prende il libro sigillato dalla mano di Colui che siede sul Trono ed apre, uno alla volta, i 7 sigilli.

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La donna vestita di sole

A questo punto apparvero grandi segni nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle. Era incinta e gridava per le doglie e per il travaglio del parto ed alla fine partorì un figlio maschio. A lei si oppose un drago mostruoso e scoppiò una guerra nel cielo.

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I Cavalieri dell’Apocalisse sono quattro figure simboliche introdotte nell’ Apocalisse di Giovanni

All’apertura del primo sigillo apparve un cavallo bianco con un cavaliere con in mano un arco.
All’apertura del secondo sigillo apparve un cavallo rosso fuoco e colui che lo montava aveva una grande spada ed ebbe il potere di togliere la pace dalla Terra.
All’apertura del terzo sigillo apparve un cavallo nero ed il suo cavaliere aveva in mano una bilancia.
All’apertura del quarto sigillo apparve un cavallo verde il cui cavaliere era la Morte, seguita da tutto l’Inferno, ed ebbe il potere di sterminare la quarta parte dell’umanità con la guerra, la peste e le carestie.
I personaggi di cui si parla in questi primi quattro sigilli, vengono comunemente chiamati i quattro cavalieri dell’Apocalisse.

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Giudizio: gli angeli con le trombe annunciano la fine dei tempi.

All’apertura del settimo sigillo, apparvero 7 angeli con 7 trombe.
Allo squillo della prima tromba, piovvero sulla Terra sangue e fuoco. Un terzo della Terra fu bruciata.
Allo squillo della seconda tromba, una grande montagna di fuoco cadde nel mare.
Allo squillo della terza tromba, cadde dal cielo una grande stella. Essa si chiamava Assenzio.
Allo squillo della quarta tromba, furono colpiti da misteriosi oggetti il Sole e la Luna.
Allo squillo della quinta tromba, un astro cadde sulla terra che si aprì e da essa uscì un gran fumo che oscurò il cielo. Dalle viscere della Terra uscì una moltitudine di enormi cavallette che iniziarono a tormentare gli uomini. Esse avevano aspetto umano, con capelli di donna e denti da leone ed il rumore delle loro ali era assordante e spaventoso.

Il loro Re era l’angelo dell’abisso, lo sterminatore.
Allo squillo della sesta tromba, furono liberati 4 angeli al cui seguito vi erano milioni di cavalieri che sterminarono un terzo dell’umanità ancora superstite, ma la restante umanità ancora viveva nella perdizione e nel peccato.
Allo squillo della settima tromba, si aprirono i cieli ed apparve l’Arca dell’Alleanza.

 

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L’anticristo, per alcune correnti del cristianesimo, è il nemico escatologico del Messia: è l’avversario o antagonista di Cristo (è detto anche “falso Cristo”) e dell’avvento del Regno di Dio in questo mondo, alleato dell’avversario (Satana), potentissimo eppure già destinato a soccombere

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Candelabri

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La bestia dell’apocalisse

Infine venne la fine della grande Babilonia, la grande prostituta, la madre di tutti gli abomini sulla Terra, che aveva le sembianze di una donna seduta sopra una bestia scarlatta, coperta di nomi blasfemi, con sette teste e dieci corna.

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La Gerusalemme celeste

l Giudizio universale (o Giudizio finale), secondo l’escatologia cristiana, è un avvenimento che si verificherà alla fine dei tempi, subito dopo la Seconda venuta di Cristo. Secondo la teologia, infatti, il compimento delle storie di libertà vissute da ogni uomo comporta “il rendersi consapevoli della qualità etica di queste storie di fronte a Dio”. Inoltre “nella testimonianza biblica che Gesù sarà il giudice è contenuta la promessa che il giudizio di Dio sul male e su ogni colpa sarà un giudizio di grazia”

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GIUDIZIO UNIVERSALE GIOTTORisultati immagini per GIOTTO E L'APOCALISSE

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GIUDIZIO UNIVERSALE MICHELANGELO. CAPPELLA SISTINA

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LUCA SIGNORELLI

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5 Aprile 2017

Caravaggio a Roma. Lezione aprile 2017

Filed under: Senza Categoria — giacomo.campanile @ 08:26

Caravaggiolode

Caravaggio a Roma.

La chiesa di San Luigi dei Francesi è un luogo di culto cattolico di Roma, non distante da piazza Navona. È la chiesa nazionale dei francesi di Roma dal 1589.

Nella quinta cappella della navata di sinistra (cappella Contarelli) vi sono tre capolavori assoluti del Caravaggio: il Martirio di San Matteo, San Matteo e l’angelo e Vocazione di san Matteo.

Vocazione di san Matteo è un dipinto realizzato tra il 1599 ed il 1600 dal pittore italiano Michelangelo Merisi detto Caravaggio, ispirato all’episodio raccontato in Matteo 9,9-13. Si trova nella Cappella Contarelli, nella chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma.

San Matteo e l’angelo è il soggetto di un dipinto realizzato nel 1602 dal pittore italiano Caravaggio. È conservato a Roma nella cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi. La prima versione del dipinto, acquistata da Vincenzo Giustiniani, passò ai Musei di Berlino nel 1815 e fu distrutta verso la fine della seconda guerra mondiale nell’incendio della Flakturm Friedrichshain.

Il Martirio di san Matteo è un dipinto a olio su tela (323×343 cm) di Caravaggio, databile al 1600-1601 e conservato nella Cappella Contarelli della chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma.

La Madonna dei Pellegrini o di Loreto è un dipinto a olio su tela (260×150 cm) di Caravaggio, databile al 1604-1606 e conservato nella Cappella Cavalletti della basilica di Sant’Agostino a Roma

La Deposizione è il soggetto di un dipinto a olio su tela realizzato, tra il 1602 ed il 1604, dal pittore italiano Michelangelo Merisi da Caravaggio e conservato presso la Pinacoteca Vaticana.

La basilica di Santa Maria del Popolo è un luogo di culto cattolico del centro storico di Roma, sito in piazza del Popolo,

La cappella Cerasi, detta anche dell’Assunta o dei Santi Pietro e Paolo, è la prima cappella a sinistra dell’altare maggiore nella basilica di Santa Maria del Popolo a Roma.

È una delle cappelle più celebri e visitate della basilica. Qui Annibale Carracci e Caravaggio, i due maggiori pittori attivi nella Roma dell’epoca, si confrontarono per l’unica volta negli anni 1600-1601, dando vita a uno dei capolavori inaugurali del Seicento romano.

La Flagellazione di Cristo, Piero della Francesca e Caravaggio e la Pasqua di Cristo. Lezione 2022

Filed under: LEZIONI DI RELIGIONE — giacomo.campanile @ 08:01

 

Caravaggio e la figura di Cristo.

La Flagellazione di Cristo, Piero della Francesca e Caravaggio

breve video Flagellazione Caravaggio

Cattura di Cristo

LEZIONE VIDEO del prof. Giacomo Campanile. Di proprietà della comunità gesuita di Dublino è la tela in prestito a tempo indeterminato nella National Gallery of Ireland di Dublino. Durante il soggiorno romano dell’artista, Ciriaco Mattei commissionò al Caravaggio il dipinto. Suo fratello, il cardinale Girolamo Mattei ne avrebbe suggerito il soggetto con il Bacio di Giuda, l’iconografia e l’ambientazione. Il 2 gennaio 1603 il committente lo pagava centoventicinque scudi. L’azione è raffigurata su una tela posta in orizzontale. Gesù è raffigurato immobile e dimesso; Giuda lo schiaccia. Il centro visivo del quadro è formato dalle due teste contrapposte dei protagonisti. Il perno compositivo della scena è fissato dai volti del Cristo, che prefigura i patimenti e la sua Passione, di Giuda e di San Giovanni, che è colto in fuga, dal viso bloccato in un urlo, che presagisce le sofferenze del Messia che seguiranno alla sua Cattura. Sul lato destro del quadro un uomo, che assiste alla cattura di Gesù e che illumina la scena con una lanterna, avrebbe le sembianze del Caravaggio stesso. La lanterna in mano al Caravaggio, secondo un altro storico d’arte Maurizio Marini, ricorderebbe Diogene e la ricerca della fede e della redenzione a cui il pittore tendeva. La frenesia dell’insieme, data dallo sbilanciamento delle figure e ravvisata dai guizzi di luce sulle corazze dei soldati, rende il fare concitato e dinamico della scena. Il quadro è stato ritrovato a Dublino nel 1990 da Sergio Benedetti, curatore della National Gallery of Ireland, che aveva ricevuto l’incarico di esaminarlo da Padre Noel Barber, al fine di poterne effettuare un restauro a scopo commerciale. Non appena furono rimossi i primi strati di depositi superficiali emerse chiaramente la maestria con cui era stato realizzato, e si incominciò a ipotizzarne l’attribuzione al Caravaggio. Durante una lunga ricerca o all’interno di un antico e mal ridotto registro custodito negli archivi della famiglia Mattei, a Recanati, un’attestazione di una Cattura di Cristo che ne documentava un pagamento a Michelangelo Merisi. Del soggetto esistono almeno 12 copie, tra quelle ritenute originali anche una del Museo d’Arte Occidentale ed Orientale di Odessa. L’opera qui fotografata era ed è tuttora, identificata, la copia di Gerard van Honthorst proveniente da Edimburgo con il nome di Gherardo delle Notti.

la flagellazione.

deposizione di Cristo

Caravaggio - La Deposizione di Cristo.jpg

LEZIONE VIDEO del prof. Giacomo Campanile. La Deposizione è il soggetto di un dipinto a olio su tela realizzato, tra il 1602 ed il 1604, dal pittore italiano Michelangelo Merisi da Caravaggio e conservato presso la Pinacoteca vaticana. Il dipinto fu commissionato da Girolamo Vittrice per la cappella dedicata alla Pietà, di proprietà dello zio, che si trova nella chiesa di Santa Maria in Vallicella a Roma, celebre sede dell’Oratorio di san Filippo Neri. Secondo Rodolfo Papa, che riprende studi di Alessandro Zuccari e Maurizio Calvesi, non è del tutto casuale che i Vittrice si siano rivolti a Caravaggio per la realizzazione di questo dipinto, poiché questa famiglia, come pure quelle di altri illustri committenti di Merisi, era legata all’ambiente oratoriano e dunque alla frangia pauperista e populista della Chiesa, i cui ideali di religiosità popolare collimavano con quelli borromaici che il giovane Caravaggio aveva assorbito in Lombardia e che la sua pittura traduceva perfettamente in immagine. La cappella Vittrici era stata edificata da Pietro, guardarobiere e maggiordomo di papa Gregorio XIII, molto devoto a San Filippo Neri; nel 1588, la chiesa fu riedificata e così Pietro si prese l’incarico della ristrutturazione della propria Cappella e della relativa decorazione; i lavori furono affidati all’architetto Giovan Battista Guerra che terminò la cappella nel 1602. Il dipinto rimase nella cappella fino al 1797 quando, in seguito al trattato di Tolentino, fu rimosso dalla cappella, affidato a Giuseppe Valadier (incaricato dai francesi di prenderlo in consegna), e trasferito a Parigi assieme a molte altre opere ed infine esposto al Musée Napoleon.Unica opera di Caravaggio a essere stata requisita dalle chiese di Roma, la Deposizione entrò a far parte della Pinacoteca di Pio VII, e dunque dell’odierna Pinacoteca vaticana, solo in seguito alla sua restituzione, nel 1816.Nella Chiesa Nuova è esposta una poco pregevole copia di inizio Ottocento dell’austriaco Michele Koeck. L’opera, nel suo insieme semplice e grandiosa allo stesso tempo, ritrae il momento in cui Gesù Cristo sta per essere seppellito nella tomba interrata (non dunque deposto nel tradizionale sepolcro come possiamo vedere in altre Deposizioni, il punto di vista in cui si colloca il fruitore è basso (la pala d’altare è posta in alto sopra l’altare) di modo che il fruito è come se guardasse da dentro la tomba, al di qua della pietra spostata per far calare il corpo; lo stile è monumentale ed è composto alla stregua di un altorilievo antico in cui si sommano in modo mirabile ricordi di Deposizioni. L’aspetto monumentale, è attentamente ravvisabile nella scultorea drammatica anatomia di Cristo che riporta alla Pietà vaticana di Michelangelo che ne ribadisce la stessa drammaticità trasmessa agli spettatori che si trovano in direzione il taglio della pietra sepolcrale e il sospettoso sguardo di Nicodemo. La soluzione della lastra tombale che sembra uscire fuori dal quadro, mentre il braccio pendulo del Cristo senza vita rammenta la Pietà michelangiolesca. Peraltro, nel citare la Pietà michelangiolesca, Caravaggio creò un esplicito legame tra il proprio dipinto e la stessa cappella Vittrice, dedicata alla Pietà. Il corpo senza vita di Cristo, in un drammatico abbandono che è quasi un precipitare verso il basso, è sorretto con fatica e dolore dagli apostoli Giovanni e Nicodemo e si contrappone ai gesti energici dei personaggi, accentuando dunque la drammaticità della narrazione. La figura di Nicodemo è l’unica a rivolgere lo sguardo verso l’osservatore ed è interessante notare che l’ammirazione di Caravaggio per Michelangelo Buonarroti si riveli anche nella figura dello stesso Nicodemo, il cui volto altro non è che il ritratto del grande scultore fiorentino . I personaggi del dipinto sono ritratti con dovizia di dettagli: le rughe sui volti, le pieghe degli abiti, il nodo nel lenzuolo funebre, le trecce di una delle Marie, le vene e le ferite del corpo di Cristo, le costole e i muscoli evidenziano, ancora una volta, il naturalismo di Caravaggio. L’equilibrio compositivo del dipinto non impedisce che la violenta drammaticità del temperamento del maestro, contenuta nelle figure delle Marie e dei due apostoli, esploda in quella di Maria di Cleofa, dalle braccia desolatamente tese in alto. I loro gesti sono espressione della teoria degli affetti secondo la quale il dolore straziante dei personaggi nel dipinto, temperato esclusivamente dalla consolazione spirituale della preghiera, doveva essere vissuto anche dall’osservatore perché partecipasse in prima persona alla narrazione. Le tonalità del dipinto vanno dal caldo arancione della veste maschile all’incarnato chiaro, e mettono in secondo piano l’unica figura rappresentata con vari colori: quella di Giovanni il quale, con la destra, circonda le spalle di Cristo e abbandona la sinistra sul suo corpo, come assorto in meditazione. Egli indossa una veste verde e un mantello rosso, che, insieme al bianco del lenzuolo funebre, risalta con decisione nella parte centrale del quadro. Durante un restauro, sul retro della tela, fu rinvenuta una scritta di mano certamente caravaggesca che diceva: “Ne Iacobus videat neque de hoc loquetur”, traducibile in italiano come: “Che Iacopo non veda [quest’opera] e non ne parli”. Si è a lungo discusso sul significato misterioso di questa proposizione, che peraltro termina con un segno molto lungo che sembra quasi una striscia di sangue, che probabilmente vuol rilevare l’estrema importanza del comando per l’autore della frase.

Incredulità di san Tommaso.

breve video sintesi.  

video più approfondito

LEZIONE VIDEO del prof. Giacomo Campanile. L’Incredulità di san Tommaso è un dipinto a olio su tela di 107 × 146 cm realizzato tra il 1600 ed il 1601 dal pittore italiano Caravaggio. È conservato nella Bildergalerie di Potsdam. A parlare dell’episodio è il Vangelo di S. Giovanni. Dopo l’apparizione di Gesù agli apostoli e dopo che essi ne ebbero gioito, Tommaso, detto anche Didimo, che non era con gli altri al momento dell’apparizione, fu restio a credere che il Cristo morto fosse apparso in mezzo a loro, così affermò che avrebbe creduto solo se avesse messo un dito nella piega del costato di Gesù. Otto giorni dopo Gesù apparve di nuovo agli apostoli e visto fra di loro Tommaso gli disse:” Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!” (Gv. 20,19-31 ). Caravaggio nella dimensione orizzontale della tela ‘fotografa’ il momento della constatazione in un’inquadratura di tre quarti dove sono disposte le quattro figure su di uno sfondo neutro e scuro. Questa scelta permette di concentrare l’attenzione dello spettatore sulla testa di Tommaso, mentre la luce illumina la fronte e il profilo ed il costato chiaro di Cristo. Inoltre l’inquadratura permette di fissare l’attenzione sull’atteggiamento timoroso e dubbioso di Tommaso, confortato da Cristo a cui oppone la testa, in basso, rispetto alla Sua, in alto. La disposizione a croce ravvicinata delle quattro teste e a triangolo degli sguardi, col vertice sul gesto di Tommaso, permette un’ulteriore concentrazione emotiva dello sguardo del fruitore, che non può non focalizzarsi sul punto del ‘dramma’: la rivelazione della presenza reale, in carne ed ossa di Gesù. Il pittore raffigura l’apostolo Tommaso mentre infila un dito nella ferita del costato di Gesù, secondo una determinata tradizione iconografica,con altri due apostoli che osservano la scena. Sempre sul piano compositivo si osserva l’intersecarsi di due assi principali, quello orizzontale che è costituito dal braccio di Tommaso e dalle mani di Gesù e quello verticale che passa dalla testa dei due apostoli ( o meglio in mezzo alle due teste ) e prosegue su quella di Tommaso (esattamente lungo il collo dell’apostolo). Completa questa disposizione un arco formato dalle due schiene, quella di Tommaso e quella di Cristo. Un mirabile incastro di forme umane in primo piano ‘gettate’, con grande impatto emotivo davanti al fruitore: il gesto di Tommaso e la mano di Cristo che benevola lo accompagna esplode in una ‘zoomata’ straordinaria esaltata dalla luce che proviene da sinistra ( la luce della rivelazione ) che illumina il dubbio e lo stupore ( le fronti corrugate degli apostoli ) e la realtà della carne viva del Salvatore: dando forza alla verifica che annulla ogni timore. Il dipinto era un “sopraporta”, come descritto nell’Inventario Giustiniani, e quindi gli spettatori lo vedevano dal basso, partecipando, emotivamente della scoperta di Tommaso.

Cena in Emmaus.

Caravaggio - Cena in Emmaus.jpg

Video breve  CENA IN EMMAUS – CARAVAGGIO

LEZIONE VIDEO del prof. Giacomo Campanile. La Cena in Emmaus è un dipinto a olio su tela (139×195 cm) di Caravaggio, databile al 1601-1602 e conservato nella National Gallery di Londra; stata riconosciuta come quella commissionata da Ciriaco Mattei nel 1601 e pagata 150 scudi il 7 gennaio 1602. Nel 1606 Caravaggio dipinse una seconda versione del tema, oggi alla Pinacoteca di Brera, dal tono molto più sommesso. Rappresenta il culmine dell’azione dell’episodio descritto nel Vangelo di Luca (24:13-32): due discepoli di Cristo, Cleofa a sinistra e l’altro a destra, riconoscono Cristo risorto, che si era presentato loro come un viandante e che avevano invitato a cena, nel momento in cui compie il gesto della benedizione del pane, alludendo così al sacramento dell’Eucarestia. Caravaggio ritrae un Cristo all’apparenza non riconoscibile dallo spettatore tramite le fattezze, ma piuttosto guardandone e i gesti e lo svolgersi dell’avvenimento.

1 Aprile 2017

Chesterton – La gloria della Mariolatria

Filed under: Senza Categoria — giacomo.campanile @ 23:41

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Chesterton – La gloria della Mariolatria

Con tutta l’intensità con la quale si può essere superbi di una religione radicata nell’umiltà, mi sento molto orgoglioso della mia religione: e mi danno un senso di particolare orgoglio quelle parti della mia religione, che quasi tutti chiamano superstizione. Mi glorio d’essere incatenato da dogmi antiquati e di essere lo schiavo di credi morti (come i miei amici dediti al giornalismo ripetono con tanta ostinazione), perché so molto bene che morti sono i credi eretici e che solamente il dogma ragionevole ha una vita così lunga da poter essere chiamato antiquato. Mi glorio di ciò che la gente chiama il mestiere, le arti del prete, perché proprio questo termine insultante, di seconda mano, esprime la verità medioevale che un prete, come ogni altro uomo, dovrebbe essere un artigiano. Mi glorio di ciò che la gente chiama Mariolatria: fu essa che diede alla religione, nelle età più oscure, quell’elemento di cavalleria che ora trova la sua espressione nella forma ammuffita ed ammaliziata del femminismo. Mi glorio di essere ortodosso in ciò che riguarda i misteri della Trinità e della Messa; mi glorio di credere nel confessionale; mi glorio di credere nel Papato.

(G. K. Chesterton, Come essere un pazzo, in Autobiografia, tr. it., Casini Editore, Milano 1988, pp. 481-482)

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