19 Maggio 2013

Ricordati di santificare le feste. Il terzo comandamento. 2024

Filed under: articoli,PAPA — giacomo.campanile @ 09:23

Ed eccoci al terzo comandamento con il quale si chiude la prima tavola della Legge data da Dio a Mosè sul monte Sinai: “Ricordati di santificare le feste” (Es 20,8 e Dt 5,16).

Il conoscere e l’analizzare questo comandamento ci serve sia per comprenderne il suo significato originario, così come risuonava presso il popolo d’Israele, sia per la sua attuazione per noi cristiani oggi.

Il comandamento di santificare “il sabato” per il popolo ebreo era collegato al racconto della creazione:

“Ricordati del giorno del sabato per santificarlo. Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio. Non farai alcun lavoro, né tu né tuo figlio né tua figlia, né il tuo schiavo né la tua schiava, né il tuo bestiame né il forestiero che dimora presso di te. Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il settimo giorno. Perciò il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha consacrato”(Es 20, 8-11).

Proviamo a cogliere alcuni significati profondi che scaturiscono da questo terzo comandamento.

Non solo gli uomini, ma anche gli animali devono terminare la settimana di lavoro con un giorno di riposo. Questo comandamento impone di fatto un doppio obbligo: quello di lavorare durante i giorni di lavoro e quello di riposare il giorno di sabato. Si impone un’alternanza di lavoro e riposo. Il settimo giorno è il sabato in onore del Signore.

Questa richiesta del riposo del sabato va collegata con il riposo di Dio. Anche l’uomo nel settimo giorno deve cessare dal suo lavoro, così da prendere parte al riposo di Dio. Il comandamento vuole farci prendere coscienza di questo.
Prima ancora di accennare al culto che si deve rendere a Dio, c’è l’idea fondamentale che il settimo giorno Dio ce lo dà per offrirci un regolare tempo di riposo. Si tratta di un giorno messo a nostra disposizione, un tempo di libertà, perché potessimo respirare.

Israele deve prendere coscienza di essere stato schiavo in Egitto ed è stato liberato dalla mano potente di Dio. In Egitto non poteva riposare a causa della schiavitù in cui si trovava. Ora, liberato da Dio, deve far partecipe gli altri della liberazione che gli ha regalato Dio. Ma c’è anche qualcosa di più. Fino a che viveva in terra straniera Israele non poteva confessare più la sua fede dirigendosi al tempio e offrirvi i sacrifici. Adesso osservando il sabato, non passa settimana senza ricordarsi di Dio.

Ma leggiamo questo comandamento nell’ottica cristiana. È un invito a fare un raffronto su come viviamo la domenica, il giorno del Signore.

Sappiamo come i primi cristiani cominciarono a prolungare il culto del sabato alle prime ore del mattino successivo, per commemorare la resurrezione di Gesù e la riunione degli apostoli dove egli gli apparve per la prima volta.

Alla fine del 1° sec., i cristiani consacrarono alle cerimonie e al riposo l’intero primo giorno della settimana, mantenendo il rito del sabato, “l’ottavo giorno”. Con la diffusione del cristianesimo si limitò alla sola domenica il giorno di festa. La verità spirituale del sabato biblico si compie così nella domenica cristiana, giorno della resurrezione di Cristo, “giorno del Signore” per eccellenza.

In questo comandamento chiediamoci quale significato assume la domenica cristiana; cosa ci richiama questo terzo comandamento, soprattutto oggi?

È bene ricordare cosa ci dice San Giovanni Paolo II nella Lettera Apostolica Dies Domini del 1998. La festa dev’essere per il cristiano “giorno del Signore, di Cristo, della Chiesa, dell’uomo e giorno dei giorni”. Questa è la domenica.

L’uomo rischia di lasciarsi travolgere dagli impegni e di consumare tutto il proprio tempo, cioè tutta la vita, nelle diverse attività, dimenticandosi di Dio.

Con questo comandamento Dio domanda all’uomo di lasciargli spazio nel proprio tempo, cioè nella propria vita, e invita a rendere sacro il tempo, riconoscendo Dio come centro dell’esistenza.

Ecco perché dobbiamo richiamare il valore della domenica. E continuiamo a chiamarla con il suo giusto nome, anziché week-end (“fine settimane”), cioè porzione di giorni monotoni e identici.

Pensiamo alle tante domeniche a cui i cristiani non danno più il loro giusto significato. Ci si dedica o all’eccessivo continuo lavoro o alla semplice astensione dalle occupazioni ordinarie, alla pratica degli hobby o giornate da trascorrere ai grandi centri commerciali.

Come deve essere invece vissuta la domenica? È il giorno in cui Dio ci chiede di prendere parte al suo riposo, ma è anche il tempo santo che appartiene a noi e a Dio. Ciò che è santo è anche salutare. Diventa, quindi, rimedio contro la frenesia del vivere moderno, riacquistiamo la calma. È il giorno santo perché dinanzi alle deformazioni prodotte in noi dalle ferite di ogni giorno, veniamo riportati nella condizione a cui Dio ci ha destinati. È anche il “giorno sacro”, il giorno cioè in cui partecipiamo alla santa Eucarestia domenicale; è il giorno riservato all’incontro speciale con il Signore morto e risorto, momento di forte intimità con Cristo e la sua Chiesa, sua sposa che siamo noi.

L’obbligo di partecipare alla Messa domenicale si comprende alla luce di quella profonda esperienza spirituale e religiosa. È tempo per Dio, per coglierne la presenza e mettersi in ascolto. Ma la domenica è anche il tempo da dedicare di più alla famiglia, per tornare a gustare la bellezza dello stare insieme e l’intimità degli affetti; è il tempo per la comunità, per riscoprire la solidarietà, occasione e stimolo per approfondire rapporti fraterni e sociali all’insegna della gratuità, dell’amicizia e dell’attenzione soprattutto per chi è solo, ammalato o anziano.

Santificare la festa è quindi santificare sè stessi, sostare per contemplare Dio, giorno del Signore per celebrare la pasqua della settimana, occasione privilegiata per stare in famiglia, tempo prezioso per vivere l’impegno della carità. Un tempo privilegiato per un assaggio di eternità

Papa Francesco ai Movimenti e alle Aggregazioni laicali in Piazza San Pietro

immagine19 maggio 2013 Avere il coraggio della fede senza essere cristiani inamidati, costruire una cultura dell’incontro, aiutare il prossimo soprattutto le famiglie, il cui destino è più importante dei bilanci delle banche. Questo in sintesi quanto espresso da Papa Francesco nel discorso rivolto stasera alle circa 200 mila persone che hanno gremito Piazza San Pietro per partecipare alla Veglia di Pentecoste dedicata ai Movimenti, le nuove Comunità, le Associazioni e le Aggregazioni laicali.Forti anche le parole del Pontefice sulle persecuzioni contro i cristiani nel mondo: ci sono più martiri oggi – ha detto – che nei primi secoli della Chiesa. “Almeno 150 diverse realtà ecclesiali, realtà ben conosciute e radicate, ma anche nuove realtà sorte per la chiamata alla nuova evangelizzazione. Vengono da ogni parte del mondo e attestano il grande dono che lo Spirito Santo ha fatto alla Chiesa in questi cinquant’anni dall’inizio del Concilio”. E’ mons. Rino Fisichella, presidente del dicastero per la Nuova Evangelizzazione, a presentare al Papa la piazza “riempita, dice, all’inverosimile”. Ciò che ha spinto quanto sono qui , continua “è ricercare la via più idonea e coerente per vivere e testimoniare il Vangelo nel mondo di oggi.
Dell’impegno a vivere coerentemente il Vangelo avevano dato testimonianza poco prima aderenti a Rinnovamento nello Spirito, Mov. dei Focolari, Cellule parrocchiali di animazione, Nuovi orizzonti, Comunione e Liberazione, Neocatecumenali, e Sant’Egidio. Parlando del superamento delle difficoltà all’interno della vita di coppia e di famiglia, del passaggio da una vita lontana dalla fede all’incontro con Cristo, dell’annuncio del Vangelo nel proprio ambiente di studio e di lavoro, dell’incontro con Gesù nei poveri. Saranno poi Paul Bhatti, fratello di Shahbaz Bhatti, ministro delle minoranze del governo pakistano, ucciso da estremisti islamici a 43 anni e Johm Waters scrittore e giornalista irlandese passato da anni di lontananza alla fede, a raccontare di sé di fronte al Papa: “Sono molto grato a papa Francesco per avermi dato l’opportunità di condividere, con tutti voi, i dolori e le speranze dei cristiani del Pakistan “ esordisce Paul Bhatti:
“Nel mio Paese, i cristiani sono una piccola minoranza, molto povera. .. Molte volte subiamo discriminazioni, e anche violenze. … Ma, come discepoli di Gesù, vogliamo essere uomini di pace, in dialogo con i nostri fratelli musulmani e delle altre religioni. Vogliamo testimoniare con l’amore e la misericordia la nostra fede in Gesù. E’ stata questa la testimonianza del mio fratello più giovane, Shahbaz Bhatti, che ha dato tutta la sua vita per il Vangelo”.
Per tutta la sua vita, racconta Paul Bhatti, nonostante le minacce, è stato fedele alla sua missione di essere vicino ai poveri, di testimoniare l’amore di Gesù nella società violenta del Pakistan, e le sue parole e i suoi gesti hanno dato coraggio ai cristiani pakistani. Ora tanti hanno raccolto la sua testimonianza e “vogliono continuare a testimoniare il Vangelo della mitezza, del dialogo, dell’amore per i nemici”“Questa è la storia della mia vita, una vita vissuta dentro la falsa realtà che l’uomo ha costruito per sentirsi sicuro”, dichiara John Waters raccontando come a lungo avesse creduto che Dio fosse incompatibile con la sua ricerca della libertà. Poi la scoperta di quanto una vita senza di Lui fosse insoddisfacente:
“La natura dell’uomo è una continua domanda. Tu e io siamo fatti di desiderio. Non siamo fatti per accontentarci di una soddisfazione timida e fiacca…Questo è il motivo per cui Gesù è venuto fra noi: per mostrarci tutto quello che la vita umana può essere”.
Aiutato da alcuni amici, conclude, Waters: “ho imparato che il desiderio della Grandezza di Dio non era un bel concetto astratto, ma un fatto al centro della mia struttura e della mia natura…conoscere Cristo è conoscere me stesso, capire come sono fatto e diventare libero”.
Alle 17 e 30 l’arrivo di Papa Francesco nella piazza. Per mezz’ora percorre con la jeep bianca scoperta tutti i settori stracolmi e parte di via della Conciliazione. Poi salito sul sagrato, il momento tanto atteso del dialogo tra lui e le migliaia di persone presenti. Non un intervento scritto, ma la risposta a braccio a quattro domande.
Alla prima: “Come ha potuto raggiungere Lei nella Sua vita la certezza sulla fede?” Il Papa risponde:
“Ho ricevuto il primo annuncio cristiano proprio dalla mia nonna, no?, è bellissimo, quello! Il primo annuncio in casa, con la famiglia, no? E questo mi fa pensare all’amore di tante mamme e tante nonne, nella trasmissione della fede. Noi non troviamo la fede un po’ nell’astratto, no: sempre è una persona che predica, che ci dice chi è Gesù, ti da la fede, ti da il primo annuncio… E questa esperienza della fede è importante. Noi diciamo che dobbiamo cercare Dio, andare da Lui a chiedere perdono … ma quando noi andiamo, Lui ci aspetta, Lui è prima! …. Voi parlavate della fragilità della fede: come si fa per vincerla. Il nemico più grande che ha la fragilità, è curioso, eh?, è la paura. Ma non abbiate paura! Siamo fragili, ma lo sappiamo. Ma Lui è più forte!Come possiamo comunicare in modo efficace la fede oggi? E’ la seconda domanda:”Dirò tre parole soltanto. Primo: Gesù. Chi è la cosa più importante? Gesù. Se noi andiamo avanti con l’organizzazione, con altre cose, con belle cose pure, ma senza Gesù, non andiamo, la cosa non va. La seconda parola è la preghiera. Guardare il volto di Dio, ma soprattutto, e questo è collegato con quello che ho detto prima, sentirsi guardati. La terza è la testimonianza”.

Alla domanda: “Come possiamo vivere una Chiesa povera e per i poveri? Quale contributo possiamo dare per affrontare la grave crisi di oggi? Papa Francesco risponde che vivere il Vangelo è il primo contributo che possiamo dare:

“La Chiesa non è un movimento politico, né una struttura ben organizzata, ma, come dice Gesù, è sale della terra e luce del mondo, è chiamata a rendere presente nella società il lievito del Regno di Dio; e lo fa prima di tutto con la testimonianza dell’amore fraterno, della solidarietà, della condivisione”.

di Giacomo Campanile
redazione@vivereroma.org

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