18 Giugno 2013

Blaise Pascal. Filosofia e Religione. Lezione marzo 2020

Filed under: FILOSOFIA RELIGIONE,LEZIONI DI RELIGIONE — giacomo.campanile @ 09:25

Blaise Pascal (Clermont-Ferrand, 19 giugno 1623 – Parigi, 19 agosto 1662) è stato un matematico, fisico, filosofo e teologo francese.

Bambino prodigio, fu istruito dal padre. I primi lavori di Pascal sono relativi alle scienze naturali e alle scienze applicate. Contribuì in modo significativo alla costruzione di calcolatori meccanici e allo studio dei fluidi. Egli ha chiarito i concetti di pressione e di vuoto per ampliare il lavoro di Torricelli. Pascal scrisse importanti testi sul metodo scientifico.

 

A sedici anni scrisse un trattato di geometria proiettiva e dal 1654 lavorò con Pierre de Fermat sulla teoria delle probabilità che influenzò fortemente le moderne teorie economiche e le scienze sociali. Dopo un’esperienza mistica seguita ad un incidente in cui aveva rischiato la vita, nel 1654, abbandonò matematica e fisica per dedicarsi alle riflessioni religiose e filosofiche. Morì due mesi dopo il suo 39º compleanno, nel 1662, dopo una lunga malattia che lo affliggeva dalla fanciullezza.

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22 Luglio 2012

Pitagora e la religione. Lezione ottobre 2020

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Pitagora (in greco antico: Πυθαγόρας, Pythagóras; Samo, tra il 580 a.C. e il 570 a.C. – Metaponto, 495 a.C. circa) è stato un filosofo greco. Fu matematico, taumaturgo, astronomo, scienziato, politico e fondatore a Crotone di una delle più importanti scuole di pensiero dell’umanità, che prese da lui stesso il nome: la Scuola pitagorica.

Il suo pensiero ha avuto enorme importanza per lo sviluppo della scienza occidentale, perché ha intuito per primo l’efficacia della matematica per descrivere il mondo[1]. Le sue dottrine segnerebbero la nascita di una riflessione improntata all’amore per la conoscenza. La scuola a lui intitolata fu il crogiolo nel cui ambito si svilupparono molte conoscenze, in particolare quelle matematiche e le sue applicazioni come il noto teorema di Pitagora.

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I misteri orfici e la scuola pitagorica.  La dottrina dell'anima di Pitagora è ispirata alla religione misterica orfica (Orfismo)  Per approfondire. - ppt scaricare

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FILOSOFIA: I PITAGORICI E LA CONCEZIONE MATEMATICA DELLA NATURA

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Il filo di Arianna. Rivista on line per la didattica nelle scuole superiori (ISSN 2036-8458) - I Pitagorici

24 Maggio 2012

Beato Gioacchino da Fiore Abate cistercense 30 marzo

Filed under: FILOSOFIA,FILOSOFIA RELIGIONE,LEZIONI DI RELIGIONE — giacomo.campanile @ 05:49

Gioacchino da Fiore - VIAGGIO ITALIANO

Celico, Cosenza, 1130 c. – Fiore, Cosenza, 30 marzo 1202

Il 30 marzo del 1202 muore nell’eremo calabrese di San Martino a Petrafitta Gioacchino da Fiore, monaco cistercense e poi fondatore dell’Ordine florense. Gioacchino nacque a Celico, in Calabria, attorno al 1130. A circa trent’anni, abbandonò la propria professione e si recò in Terra Santa, dove iniziò ad approfondire quell’amore per le Scritture che non l’avrebbe mai più abbandonato.

Ritornato in patria, dopo un periodo da eremita egli entrò dai cistercensi di Corazzo, di cui divenne abate nel 1177. Presto, però, Gioacchino si convinse dell’inadeguatezza del monachesimo tradizionale di fronte alla crisi che attraversavano allora il mondo civile e quello ecclesiale. Egli diede perciò vita, con alcuni compagni e con la protezione degli imperatori normanni di Sicilia, a un nuovo ordine, a partire dal monastero di San Giovanni in Fiore.

Osteggiato dai cistercensi, che si sentivano traditi dall’abate calabrese, ma difeso da papi e imperatori, Gioacchino morì nell’eremo dove aveva deciso di trascorrere i suoi ultimi giorni, dopo aver lasciato un tesoro inestimabile e particolarmente originale di commentari biblici. Testimone di una radicale povertà evangelica, predicatore di una chiesa umile e «serva del Signore» in mezzo alla violenza delle crociate, Gioacchino passò alla storia per la sua teologia dall’ampio respiro trinitario, e soprattutto per le sue profezie sull’imminente «epoca dello Spirito», che ispireranno molti movimenti di riforma religiosa nel XIII secolo.

Gioacchino da Fiore nacque a Célico (Cosenza) intorno al 1130, da un’umile famiglia d’agricoltori o, secondo altri, da un notaio. Dopo aver visitato la Palestina, si fece frate cistercense e in seguito fu nominato abate.

Tra i vari monasteri di cui fu ospite si ricorda l’abbazia di Casamari. In seguito ad una crisi spirituale, abbandonò l’ordine e dopo un periodo di eremitaggio fondò la congregazione florense, che prende titolo dal monastero di san Giovanni in Fiore, sulla Sila, dove ebbe sede, e che nel 1570 confluì nell’ordine dei cistercensi.

Gioacchino morì intorno al 1202, secondo alcuni a Pietralta o Petrafitta, secondo altri a Corazzo o S. Martino di Canale o S. Giovanni in Fiore. La sua morte avvenne quando san Francesco, nella malattia della prigionia a Perugia, concepiva i primi germi della conversione tutta basata sul principio di povertà.

A Gioacchino è attribuita la predizione degli ordini francescano e domenicano, nonché dei colori dei relativi abiti. Nell’ordine francescano si videro praticamente realizzate le aspettative di Gioacchino; e i francescani rigorosi (veri e propri gioachimiti) si dissero “spirituali” con tipico termine gioachimita dedotto dalla profezia relativa alla Terza Età, da lui detta “dello Spirito Santo”, un’Età di rigenerazione della Chiesa e della società, col ritorno alla primigenia povertà e umiltà.

Gioacchino da Fiore può essere definito monaco, abate, teologo, esegeta, apologeta, pensatore, riformatore, mistico, filosofo, veggente, asceta, profeta.

Da un lato scriveva e predicava, dall’altro si macerava in incredibili penitenze. Nel 1215 il Concilio Lateranense IV condannò una sua opinione relativa al teologo Pietro Lombardo, ma salvaguardò la persona di Gioacchino, perché egli aveva ribadito più volte la sua adesione alla dottrina cattolica e aveva chiesto d’essere corretto dai suoi confratelli o dalla Chiesa stessa, ordinando che tutti i suoi scritti venissero sottoposti al vaglio della S. Sede e dichiarando di ritenere validi solo quelli che la Chiesa stessa avrebbe approvato.

Fra le sue opere è molto importante il Liber figurarum, in cui egli spiega la dottrina cattolica per mezzo di figure simboliche (due delle quali — quella del drago a sette teste e quella dei tre cerchi trinitari — sono presentate in questo sito, accanto alla miniatura di Gioacchino con l’aureola di santo presente nel manoscritto Chigi A.VIII.231 della biblioteca vaticana). Tale Liber è notevole anche dal punto di vista artistico: lo stesso Gioacchino, infatti, fu ritenuto bravo pittore, tanto che sono attribuite a lui l’ideazione e la realizzazione dei mosaici della basilica veneziana di S. Marco.

Subito dopo la sua morte, la vox populi lo proclamò santo e i seguaci inviarono alla S. Sede la documentazione dei numerosi miracoli, ora ripubblicati da Antonio Maria Adorisio. Ciò al fine d’avviare il processo di canonizzazione.
Se da una parte la memoria della santità di Gioacchino fu inquinata da errate interpretazioni della sua dottrina, dovute sia ad avversari sia a seguaci troppo zelanti, nonché dall’attribuzione a lui di false profezie ed opinioni teologiche, dall’altra il papa Onorio III con una bolla del 1220 lo dichiarò perfettamente cattolico e ordinò che questa sentenza fosse divulgata nelle chiese.

Il fervido culto popolare di Gioacchino da Fiore si diffuse presto a largo raggio. Dante Alighieri lo collocò fra i beati sapienti con queste parole: “E lucemi da lato / il calabrese abate Gioacchino / di spirito profetico dotato” (Par. XII). Inoltre Gioacchino è presentato col titolo di beato negli Acta Sanctorum compilati e pubblicati dai gesuiti bollandisti nel 1688, nonché in dizionari ed enciclopedie varie.

E nel rituale dei monaci florensi esisteva la messa in onore del beato Gioacchino che veniva celebrata il 30 marzo (giorno della sua morte), il 29 maggio e in altre occasioni, come pure esisteva un’antifona dei vespri in cui si esaltava il suo spirito profetico (frase poi tradotta da Dante nella Divina Commedia). Ciò ha fatto sì che — a quanto scrivono Emidio De Felice e Orietta Sala nei loro dizionari d’onomastica — si deve al suo carisma la diffusione in Italia del nome personale Gioacchino.
Le sue spoglie — di cui recentemente è stata fatta una ricognizione — si trovano nella cripta dell’abbazia di S. Giovanni in Fiore, comune che ha preso il nome proprio da tale abbazia. Nel 2001 l’arcivescovo di Cosenza-Bisignano mons. Giuseppe Agostino ha riaperto il processo di canonizzazione per portare presto Gioacchino da Fiore alla piena gloria degli altari e — si ritiene — anche al titolo di “dottore della Chiesa”.

Il gioachimismo cattolico ha avuto un impetuoso risveglio soprattutto col Concilio Vaticano II. Ha fatto leva su Giovanni XXIII e la sua invocazione di «una nuova Pentecoste». Ha contrapposto lo «spirito» del Concilio alla sua «lettera». Ha predicato una nuova Chiesa «spirituale» al posto di quella vecchia «carnale». Soprattutto le correnti progressiste della Chiesa hanno innalzato questo stendardo. Anche il mito della «Chiesa dei poveri» lanciato dal cardinale Giacomo Lercaro e dal suo teologo don Giuseppe Dossetti rimanda a Gioacchino da Fiore, ai fraticelli e a Celestino V, il papa mistico che, unico caso nella storia, rinunciò alle somme chiavi.

Il grande teologo gesuita e poi cardinale Henri De Lubac dedicò negli anni Settanta all´influsso del monaco calabrese due volumi di più di mille pagine, intitolati “La posterità spirituale di Gioacchino da Fiore”. Il primo è oggi esaurito. Ma il secondo, “Da Saint-Simon ai nostri giorni”, edito da Jaca Book, è ancora disponibile in libreria.

In esso, De Lubac dedica pagine acute all´impronta gioachimita sul pensiero hegeliano e marxista, ma anche su Lamennais, sul messianismo polacco di un Adam Mickiewicz, sui grandi autori russi. Il capitolo conclusivo, purtroppo incompiuto, ha per titolo “Neogioachimismi contemporanei”. De Lubac vi scrive:

«Il “cancro” denunciato dal Concilio provinciale di Arles nel 1262 era una semplice dottrina fantasiosa, una corrente marginale, episodio effimero nella storia cristiana, o al contrario un fenomeno di straordinaria portata, dal seguito incalcolabile? La risposta non appare dubbia. […] Il gioachimismo non è solo riconoscibile in contesti completamente secolarizzati. Esso ispira, come forza ancor viva, movimenti spirituali che non vogliono uscire dai confini del cristianesimo. […] Nella seconda parte del secolo XX assistiamo al suo risveglio nel cuore stesso della Chiesa. Sembra perfino volervi effettuare un ritorno in forze.

Però, rispetto allo stesso Gioacchino, i suoi odierni araldi non annunciano lo sboccio dello Spirito per l´indomani; lo vedono e lo dicono già presente in loro; essi ne sono gli organi. Forse più di Gioacchino, accentuano la cesura tra la Chiesa proveniente dal passato, dichiarata ormai invecchiata, e quella del futuro, che sorge oggi stesso in qualche luogo privilegiato, raggiante di giovinezza. […] Si osserva alla base una concezione lineare del tempo, che crede di non poter accogliere nulla di nuovo se non attraverso il rifiuto dell´antico».

A riprova di questi suoi giudizi, De Lubac cita di passaggio autori «dottrinalmente inoffensivi» come Mario Pomilio con il suo “Il quinto evangelio” e Ignazio Silone «figlio degli Abruzzi e di un cattolicesimo popolare impregnato di gioachimismo».

Ma dedica spazio soprattutto ai teorici della «morte di Dio» e ai teologi della liberazione, da Jean Comblin a Giulio Girardi a Leonardo Boff. Nei quali De Lubac rinviene un gioachimismo senz´altro condannabile, ma anche talmente «confuso» da permettere loro «di sfuggire all´eterodossia cristiana».

E ancora. Tra i grandi teologi imbevuti di gioachimismo, De Lubac prende di mira il gesuita Michel de Certeau e il protestante Jurgen Moltmann, «la cui “Teologia della speranza” riprende per cristianizzarle, ma senza riuscirvi molto bene, le concezioni escatologiche di Ernst Bloch» .

Il capitolo si interrompe sul limitare del primo dopoconcilio, quando «sboccia tutta una fioritura di apostoli dello Spirito al sole della Chiesa, di una Chiesa al tramonto che deve far posto a quella del domani, […] una nuova Chiesa in cui l´amore deve “prendere il posto della legge”».

Avesse proseguito, c’è da scommettere che De Lubac avrebbe incluso nella sua critica Giuseppe Dossetti e il dossettismo. Ossia la corrente intellettuale dominante nel cattolicesimo italiano della seconda metà del secolo XX.

__________

Il libro da rileggere:

Henri de Lubac, “La posterità spirituale di Gioacchino da Fiore. II. Da Saint-Simon ai nostri giorni”, > Jaca Book, Milano, 1984, pagine 548.

6 Giugno 2011

Cristianesimo ed Epicureismo in Clemente di Alessandria

Filed under: FILOSOFIA RELIGIONE,Religione,Teologia — giacomo.campanile @ 10:06

Adversus Epicuro

Confronto cristianesimo epicureismo. Felicità, amicizia, libertà, vita nascosta

LEZIONE VIDEO DI Giacomo Campanile

Campanile group concerto Senigallia festival di Epicuro. prima parteseconda parte

Epicuro (gr. ᾿Επίκουρος, lat. Epicurus). – Filosofo greco (Samo 341 – Atene 270 a. C.). Fondatore di una delle più importanti scuole filosofiche dell’età ellenistica, detta il “Giardino” (perché aveva sede in un giardino attiguo alla sua casa). Della sua opera, amplissima (essa comprendeva quasi 300 titoli), restano i frammenti di circa 9 libri (erano in tutto 37)

Il saggio coglierà questo equilibrio contentandosi di poco e vivendo appartato (λάϑε βιώσας: “vivi nascosto”); dalle offese degli uomini e dai colpi della fortuna solo l’amicizia può proteggere. Non basta però tenere a freno i desideri smodati, occorre liberarsi dai timori. La filosofia ha così il compito di offrire all’uomo il “quadrifarmaco”, cioè la medicina capace di guarire dai quattro timori che rendono infelice la vita dell’uomo: il timore degli dei, della morte, del dolore (che è intenso e allora passeggero, o cronico e allora sopportabile serenamente), dell’impossibilità di raggiungere il piacere. Questa guarigione, questa liberazione però non può venire che da un sano criterio (“canone”) di verità (e “canonica” è detta la dottrina del “canone della verità”), il quale sta nell’evidenza posseduta dalle sensazioni, fondamento di tutta la conoscenza (i concetti essendo riassunto mnemonico del percepito e anticipazione – “prolessi” – del percepibile).

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Felicità – AlBano Romina

FELICITA’ = AMICIZIA AMORE, LIBERTÀ, GIOIA, INCONTRO

Per Epicuro la filosofia ha in primo luogo una funzione terapeutica : “Vana è la parola del filosofo se non allevia qualche sofferenza umana” 

Razionalità e felicità: la filosofia di Epicuro

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Mentre approfondivo “Stromati, note di vera filosofia” un interessante testo di Clemente Alessandrino, noto teologo cristiano del III secolo fui colpito dalla stima e dalla riverenza che il grande Padre della Chiesa portava per la filosofia greca.

Il platonismo e la filosofia ellenica in generale erano considerati come uno strumento positivo e valido per conoscere la verità.

La S. Teologia e la filosofia erano considerate in modo allegorico come due personaggi della Genesi.

Sara ed Agar (St. I/5,32). Sara, prima moglie legittima di Abramo, è il simbolo della Teologia e Agar, serva di Sara che unendosi con il Patriarca gli aveva dato una discendenza, è simbolo della filosofia.

Clemente afferma: “La filosofia ha come compito l’indagine sulla verità e sulla natura del reale.

È d’altra parte la cultura preparatoria al riposo in Cristo, esercita la mente e sveglia l’intelligenza, ingenerando la sagacia nella ricerca attraverso la vera filosofia. È la filosofia che posseggono gli iniziati: l’hanno scoperta, o meglio, l’hanno ricevuta dalla verità stessa” (St. I/5,32.4).
In questo testo la teologia e la filosofia sono fuse e sovrapposte a vicenda; la filosofia appare la più autentica vita religiosa, o avvicinamento ad essa (riposo in Cristo, la possiedono gli iniziati).
Questo alto concetto della filosofia non era condiviso da altri importanti Padri della Chiesa (vedi Taziano e in modo particolare Tertulliano).
Clemente, mentre aveva buona considerazione la filosofia e i grandi esponenti delle diverse scuole, aveva un atteggiamento molto critico verso Epicuro e le sue idee. Perché?
Lo scopo di questo breve studio è soltanto di capire perché Clemente ha parole d’elogio e d’ammirazione per i filosofi e disprezza in modo quasi indegno la filosofia di Epicuro. Il pensiero d’Epicuro è incompatibile con la dottrina cristiana?
Cominciamo il nostro studio andando ad analizzare i testi in cui Clemente cita le opere e le idee d’Epicuro. Già nella prima pagina degli Stromati si legge: “Epicuro, corifeo d’ateismo” (St. I/1,2).
La prima affermazione su Epicuro è un’accusa d’ateismo.

La seconda critica è ancora più pesante: è quella di sopprimere la provvidenza e divinizzare il piacere. “S’intende della filosofia non nel suo complesso, ma in quella di Epicuro di cui pure fa menzione Paolo negli Atti degli Apostoli, rimproverandoli di sopprimere la provvidenza e di divinizzare il piacere” (St. I/11,50.6).
Questa critica, specifica Clemente, non è rivolta alla filosofia perché tale, ma alla filosofia di Epicuro, fonte di menzogna e immorale.

Contro gli epicurei afferma: “E quelli che pongono come principio gli atomi: poveri uomini senza fede, schiavi dei piaceri, che si rivestono del nome di filosofi” (St. I/11, 53.4). qui l’attacco è rivolto a tutti quelli che condividono le idee di Epicuro, tutti falsi filosofi, peccatori, atei e immorali.
Ancora: “Ed esso persuade anche Epicuro a porre come sommo fine del filosofo il piacere” (St. II/20,119.5).
Incredibile, il fine dell’uomo non è il sommo bene, ma il piacere, ciò non può essere nemmeno tenuto in considerazione, è un’idea assurda per un filosofo serio.
Afferma su Epicuro: “Egli finisce con il divinizzare lo stabile equilibrio della carne e la fiducia circa questa” (ivi). Ciò che Clemente considera dissolutezza, per Epicuro è il principio fondante della filosofia. Clemente chiede aiuto ad altri filosofi per confermare la sua critica: “Diogene scrive espressamente in una tragedia: ‘ . quelli che sono saturati nel cuore, ad opera dei piaceri, della mollezza effeminata, insudiciata di sterco, che non vogliono faticare, nemmeno un poco.’ Con le parole che seguono dette in modo da far vergogna, ma degno dei voluttuari” (St. II/20,119,5-6; cfr. Diog. L.VI 80).
Il capitolo 21 degli Stromati, è dedicato alla filosofia e al sommo bene, anche in questo frangente clemente inizia con una critica feroce ad Epicuro:

“Epicuro riponeva la felicità nel non aver fame, non aver sete, non aver freddo. Pronunciò la celebre frase: ‘Felicità che rende uguale agli dei’, ma in modo empio perché proprio in questo sosteneva di poter rivaleggiare con Zeus, come se stabilisse la beata superiorità di porci che mangiano escrementi, non di uomini ragionevoli e filosofi. Di quelli che pongono come principio il piacere cirenaici ed epicurei” (St. II/21,1-2).
La felicità dell’uomo è vivere per il piacere. Solo il piacere diviniza l’uomo. Questa dottrina che Clemente condanna senza appelli, è molto attuale. Di fronte alla rivelazione la filosofia, secondo Clemente, è come un dono di Dio. Essa è stata data da Dio ai greci come un testamento che servisse di base alla filosofia cristiana. Nella filosofia greca fu seminata la zizzania dal diavolo (cfr. la parabola Mt 13,25-30). Come nel cristianesimo le eresie crescono insieme al grano buono, così nell’ambiente filosofico:

L’empietà di Epicuro e la teoria del piacere e tutte le altre proposizioni disseminate nella filosofia greca contrariamente alla retta ragione, costituiscono i frutti spuri della cultura concessa da Dio ai greci” (St. VI/8,67.2).
La dottrina del piacere di Epicuro viene paragonata da Clemente Alessandrino all’erba cattiva nel campo della filosofia, Epicuro viene definito uomo empio, la sua filosofia va contro la retta ragione e contro la legge di Dio.

Conclusione
Negli “Stromati, note di vera filosofia”, c’è secondo Clemente una contrapposizione estrema tra teologia cristiana e filosofia epicurea in quanto questa filosofia aveva assunto nella storia quasi la forma di una religione laica contrapposta alla religione cristiana.
In questa religione laica l’uomo poteva raggiungere la felicità da solo, solo confidando nelle sue capacità naturali, non gli ha bisogno dei o mediatori soprannaturali, per arrivare alla pace non ha bisogno neanche di beni materiali e ricchezze, o di vita politica e istituzioni. L’uomo è perfettamente autartico. Ciò non può essere condiviso da un teologo cristiano che vede la salvezza e la redenzione umana come un dono di Dio. Le accuse d’ateismo rivolte da Clemente sono pertinenti giacché la dottrina epicurea è una fede nell’al-di-qua, negatrice d’ogni trascendenza e radicalmente legata alla dimensione del “naturale” e del “fisico”, in questo contesto la metafisica platonica e aristotelica sono negate.
L’attualità del pensiero di Epicuro
In un certo senso oggi siamo in un’epoca epicurea, la galoppante secolarizzazione, la eccessiva fiducia nella capacità dell’uomo di realizzare una pace mondiale, la società impostata in modo edonistico.
In effetti, soddisfare ogni tipo di piacere è il principio della nostra società consumistica. Oggi il criterio per discriminare il “bene” e il “male” non è la verità, ma il piacere e il dolore, così che essi diventano le regole del nostro agire. Un agire morale fondato sul principio del piacere è profondamente amorale, condividiamo la posizione di Clemente a riguardo in quanto il piacere non può essere un principio metafisico.
Anche a livello gnoseologico Epicuro è attuale. Il primato della sensazione per l’oggettività rende la filosofia di Epicuro moderna. Il soggetto con le sue sensazioni diventa il protagonista della conoscenza oggettiva, dimenticando ogni tipo di conoscenza metafisica.
Gli studiosi recenti sostengono che il piacere concepito da Epicuro riguarda l’aspetto spirituale dell’anima. Ciò che deve cercare ogni uomo è la tranquillità dell’anima (atarassia). L’uomo deve cercare la pace, per questo bisogna fuggire dal caos di una vita sociale frenetica e a volte solo esteriore. Nella famosa frase di Epicuro: “Ritirati in te stesso, soprattutto quando sei costretto a stare tra la folla” sembra di sentire l’eco del Vangelo.
Un altro pregio della filosofia epicurea è quello di considerare l’uomo non solo come essere politico, in rapporto con lo stato, ma come individuo che ha un valore in sé. Anche qui notiamo una sfumatura che avvicina la filosofia epicurea all’antropologia cristiana.
Un’altra tematica molto vicina alla dottrina evangelica è quella dell’amicizia, Gesù Cristo chiama i suoi discepoli amici

“Non vi chiamo più servi,ma vi ho chiamati amici” (Gv. 15,15).

Epicuro sostiene che l’amicizia deve essere l’unico legame veramente importante nelle relazioni umane perché è un legame che presuppone la libertà

http://www.giacomocampanile.it/

28 Gennaio 2010

San Tommaso d’Aquino

Filed under: articoli,FILOSOFIA RELIGIONE,LEZIONI DI RELIGIONE,Religione,SANTI,Teologia — giacomo.campanile @ 09:50

LE 5 VIE DELLA CONOSCENZA DI DIO

LEZIONE VIDEO DI Giacomo Campanile

S. TOMMASO 19

Tommaso d’Aquino, O.P. (Roccasecca, 1225 – Fossanova, 7 marzo 1274), definito Doctor Angelicus, è forse il più grande Dottore della Chiesa.E’ stato un filosofo e teologo italiano, della scolastica.

Ed ecco le 5 vie, i cinque argomenti, esposti inizialmente nella Summa contra Gentiles, sono argomenti puramente razionali, perché rivolti a chi non ha la fede. Le riformulò in modo più rigoroso nella Summa Theologiae.

1) Movimento. E’ evidente che certe cose si muovono e tutto ciò che si muove è mosso da altro. Colui che è in movimento e colui che viene mosso sono due entità distinte. Il primo non è ancora in atto, il secondo è già in atto. Ci dev’essere dunque all’origine qualcosa che non può essere mosso da altro, questo lo chiamiamo Dio.

2) Causa efficiente. E’ impossibile che una cosa sia causa efficiente di sé stessa, perché per esserlo dovrebbe produrre sé stessa e dovrebbe esserci prima di essere prodotta. Noi non ci facciamo da noi stessi e quindi bisogna ammettere una prima causa efficiente, questa la chiamiamo Dio.

3) Contingenza. Esistono cose che prima non c’erano e poi non ci sono più, sono contingenti. Se tutto fosse contingente vorrebbe dire che tutto ciò che esiste può non essere. Questo significa dunque che ci può essere un momento in cui non c’è nulla, ma non si spiegherebbe perché adesso c’è qualche cosa. Non c’è quindi mai stato un momento in cui non c’era niente: se c’è qualche cosa allora vuol dire che non tutto è contingente, c’è almeno un ente che è necessario, cioè che non può non essere, questo lo chiamiamo Dio.

4) Gradualità: esistono cose più o meno belle, nobili, perfette ecc.., ma il grado minore o maggiore di una cosa dev’essere sempre in paragone a qualcosa d’altro, cioè se ci sono cose di grado parziale, ci deve essere necessariamente essere qualcosa di grado supremo. Se ci sono diversi gradi di essere, è necessario un essere nel grado massimo, questo lo chiamiamo Dio.

5) Ordine: esistono cose ordinate ad un fine, pur non essendo loro intelligenti. Queste cose non sono in grado di direzionarsi verso un fine, quindi occorre necessariamente qualcuno che le abbia dirette verso un fine (come la freccia e l’arciere), questo lo chiamiamo Dio.

Dio esiste?

Tommaso risponde con le 5 vie che costituiscono un argomento a posteriori poiché
a priori non se ne può dare dimostrazione, non essendo conosciuta l’essenza di Dio e
non potendone quindi derivare analiticamente l’esistenza (vs Anselmo e l’argomento
ontologico: non si può passare dal piano del pensiero a quello dell’essere)
1. Prova cosmologica – Dio come causa del moto (primo motore immobile aristotelico)
2. Prova causale – Dio come causa prima (efficiente)
3. Rapporto tra possibile e necessario – Dio come causa necessaria
(fondamento nell’universo contingente)
4. Prova dei gradi – Dio come causa perfetta (principio dei diversi gradi di perfezione)
5. Prova finale – Dio come causa del finalismo del cosmo (tutto tende a un fine)

Che cosa è Dio? Dio è causa prima incausata
Che discorso è possibile su Dio? Teologia negativa:
(a) non parlo di Dio in sé, ma di Dio in rapporto al mondo (è causa
in rapporto agli effetti)
(b) non dico ciò che Dio è, ma ciò che non è

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LE OPERE <ul><li>-- Summa contra gentiles -- Summa theologica -- De unitate inellectus contra averrosistas -- De...

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25 Febbraio 2008

Dioniso. Una delle grandi divinità dell’Olimpo greco.

Filed under: FILOSOFIA,FILOSOFIA RELIGIONE,LEZIONI DI RELIGIONE — giacomo.campanile @ 08:27

Cronache dal mito – Dioniso, estasi e follia

LEZIONE VIDEO DI Giacomo Campanile

Dioniso. Una delle grandi divinità dell’Olimpo greco.

Nacque da Zeus e da Semele, figlia di Cadmo. Si narrava che questa, per volontà sua o per fraudolento consiglio di Era, avesse chiesto a Zeus di apparirle in tutto il suo splendore, ma rimase incenerita dalla visione del fulmine di Zeus. D., che era ancora nel grembo materno, fu salvato dal rogo grazie al padre che lo cucì dentro la sua coscia, da cui nacque dopo una seconda gestazione divina. Fu quindi affidato alle cure di Ino, sorella di Semele; dopo che questa impazzì, fu cresciuto dalle ninfe del Monte Nisa. Avendo viaggiato in Egitto e Siria, giunse in Frigia presso la dea Cibele, dalla quale apprese quelle danze che divennero parte integrante dei suoi riti, gli orgia.

Dopo avere diffuso la conoscenza dei suoi riti dalla Tracia all’India, giunse a Tebe, città di sua madre dove si fece riconoscere come dio e celebrò gli orgia per la prima volta in terra greca. Il re tebano Penteo gli negò ospitalità ma ne rimase infine vittima, ucciso dalla madre Agave, resa folle dal dio. D. mostrò la sua identità divina anche agli Argivi e sulla nave che lo portava a Nasso. Condusse infine Semele fuori dagli Inferi e con lei prese dimora sull’Olimpo. A Nasso sposò Arianna. 

La teoria di una origine traco-frigia del dio e del suo affermarsi in Grecia in epoca post-omerica è stata contraddetta dalla lettura del suo nome di-wo-nu-so-jo (genitivo) in due tavolette rinvenute a Pilo. D. era considerato l’inventore della vite, del melo, del vino, della birra; gli si attribuiva, inoltre, la crescita e il rinnovarsi della vita dei fiori e degli alberi. Il vino, da lui donato agli uomini, era per i Greci la bevanda che faceva dimenticare gli affanni, che creava gioia nei banchetti, che induceva al canto, all’amore, nonché alla follia e alla violenza e che, nel sacrificio, era strumento di mediazione tra uomini e dei.

Le sue epifanie erano caratterizzate dal polimorfismo: era toro, leone, serpente, capretto, barbaro e greco, giovane e vecchio, femmineo nel vestire e nei capelli fluenti.

D. era invocato nei riti perché rinnovasse il ciclo della vita vegetale, tornasse a far scorrere il vino e, rendendosi personalmente presente tra gli uomini, li possedesse con la sua mania e offrisse loro la possibilità di oltrepassare ritualmente il limite della loro condizione e di avere un contatto più stretto con il divino.

Le più importanti feste in onore di D. erano le piccole Dionisie o Dionisie rurali, in campagna nel mese di posideone; le Dionisie urbane o Lenee, in Atene, nel mese di gamelione, con rappresentazioni drammatiche e processioni; le Antesterie, al principio della primavera (11-13 antesterione), feste della svinatura; le grandi Dionisie, le più importanti, nel mese di elafebolione, con processioni, gare ditirambiche e drammatiche. 

All’inizio del 2° sec. a.C. i misteri di D. penetrarono in Italia con il loro carattere orgiastico; il senato romano nel 186 a.C. proibì i Baccanali, ma nella religione mistica D. ebbe sempre grande importanza fino all’età imperiale.

Jacques Maritain (Parigi, 18 novembre 1882 – Tolosa, 28 aprile 1973) è stato un filosofo francese,

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Filosofo francese (Parigi 1882 – Tolosa 1973), di famiglia protestante, condivise il socialismo radicale di Ch. Péguy, di cui fu amico. Importante per M. fu l’incontro con L. Bloy, in un momento di crisi intellettuale, dalla quale uscì convertendosi al cattolicesimo (1905).

Convinto della possibilità di una reviviscenza del pensiero tomista nel mondo moderno, M. contribuì con padre P. Mandonnet a fondare nel 1924 la Société thomiste e cercò di provare l’attualità e la fecondità dei principî del tomismo, sciolti dal corpo dell’enciclopedia medievale e collegati con problemi e temi del pensiero moderno (La philosophie bergsonienne, 1913; Trois Réformateurs, 1925; Le songe de Descartes, 1932; Les degrés du savoir, 1932; Sept leçons sur l’être, 1934; Quatre essais sur l’esprit dans sa condition charnelle, 1939).

Per il largo pubblico M. è soprattutto l’autore di La primauté du spirituel (1927) sui rapporti tra Chiesa e Stato, uscito nel momento della crisi dell’Action Française, e di Humanisme intégral (1936) sulla possibilità di una società liberale e democratica, eppure cristianamente ispirata: poiché per M. liberalismo e democrazia sono i risultati di un faticoso svolgimento impensabile senza il fermento del Vangelo che ha continuato a operare anche nella storia dell’umanesimo moderno antropocentrico. Discorso poi continuato in altre opere (Les droits de l’homme et la loi naturelle 1942; Christianisme et démocratie, 1943; La personne et le bien commun, 1947; Man and the state, 1951) e che, soprattutto nella forma di un attacco alla tesi di Humanisme intégral, avrebbe suscitato una violenta polemica (1956) da parte di correnti integraliste del cattolicesimo italiano.

Dopo aver partecipato al movimento francese per la resistenza, fu ambasciatore di Francia presso la Santa Sede (1945-48) e professore all’univ. di Princeton dal 1948 al 1960. Da allora visse a Rangueil, presso Tolosa, nel convento dei Petits Frères de Jésus, del p. Charles-Eugène de Foucauld, nel cui ordine era entrato nel dicembre 1971. Con Creative intuition in art and poetry (1953), M. ha arricchito il suo contributo alla delineazione di un’estetica tomistica, ritornando sui temi di Art et scolastique (1920). Del 1965 è il libro di ricordi Carnets de notes, e del 1966 Le paysan de la Garonne, dove in un’analisi dei fenomeni più importanti del mondo cattolico postconciliare M. ribadisce, con una polemica spesso accorata, la necessità di un ritorno al pensiero di Tommaso d’Aquino, e al tempo stesso si dimostra essenzialmente fedele alla propria tesi dei piani autonomi e interdipendenti, cioè al rifiuto di ogni civiltà “sacrale” e alla relativa libertà per il cattolico sul piano dell’azione temporale.

DOMANDE:

COSA SIGNIFICA EVANGELIZZARE?

ESISTE UN DIRITTO ALL’EVANGELIZZAZIONE’

PERCHE’ BISOGNA EVANGELIZZARE?

L’AMORE DI CRISTO COSA CI INDUCE?

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