14 Febbraio 2014

La solitudine nella vita religiosa e morale. LEZIONE NOVEMBRE 2019

Filed under: LEZIONI DI RELIGIONE — giacomo.campanile @ 11:08

Solitudinelode

La solitudine nella vita religiosa e morale

Solitudine.

Romanticismo. Personalismo

La solitudine lyrics -Laura Pausini

Il regalo più grande – tiziano ferro

Fuggire dal mondo, dai rumori, dalla confusione.

Anacoreta (MONACO eremita) è lo stato di un religioso che abbandona la società per condurre una vita solitaria dedicandosi all’ascesi, alla preghiera e alla contemplazione.

Deserto

soldine, preghiera, incontro con Dio.

La solitudine è una condizione e un sentimento umano nei quali l’individuo si isola per scelta propria (se di indole solitaria), per vicende personali e accidentali di vita

Solo non significa solitario

La frase Beata solitudo, sola beatitudo è un detto latino. La frase, tradotta letteralmente, significa Beata solitudine, sola beatitudine

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o beata solitudo, o sola beatitudo. – Espressione lat. («o beata solitudine, o solitaria beatitudine»), da attribuirsi probabilmente a san Bernardo, che esalta la perfetta serenità spirituale che si può trovare soltanto nel silenzio e nell’isolamento della vita monastica; spesso usata per esprimere un intenso desiderio di pace e di quiete nella solitudine.

Vita communis, maxima poenitentia (la vita comune è la più grande penitenza)

il  deserto è un luogo del cuore. … 40 giorni di  solitudine nel deserto di Gesù.

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Cosa fosse l’inferno, il filosofo Jean-Paul Sartre, lo sapeva benissimo:

l’inferno sono gli altri.

Questa frase è forse tra le più conosciute del filosofo francese Jean-Paul Sartre.

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Solitudine ma con Gesù

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La stragrande maggioranza degli scienziati sociali considera la solitudine un tipico inconveniente delle società contemporanee, una disfunzione da correggere, un morbo da debellare. La solitudine significa isolamento, mancanza di affetti e di sostegno concreto e psicologico, disadattamento, magari insufficiente acquisizione delle abilità sociali. Una condizione inadatta all’uomo, che, come diceva Aristotele, è un “animale sociale”.

Ci presentano le loro statistiche in cui correlano la solitudine alla cattiva salute, alla depressione, al suicidio.

A loro modo hanno ragione. Esiste, oggigiorno, una solitudine subita. E’ quella dell’anziano abbandonato, che non ha le risorse economiche o psicologiche per farcela da solo, che non ha più progetti, che è d’intralcio all’edonismo e al produttivismo familiari. E’ quella del giovane che non trova ascolto all’interno della famiglia e che non riesce ad adeguarsi al conformismo del gruppo dei pari, o che deve misurarsi con istituzioni obsolete e con prospettive per il futuro almeno incerte. E’ quella della donna, relegata magari in casa in un ruolo che non riconosce come proprio, prigioniera di pregiudizi e di consuetudini ormai estranee al suo modo di sentire.
Può essere quella del lavoratore estromesso precocemente dal mondo produttivo, governato dalle sue ferree leggi, che non trova la solidarietà dei coetanei, che non si sente capito o che magari si colpevolizza ingiustamente.
E’ senz’altro quella che riguarda, almeno qualche volta nel corso dell’esistenza ciascuno di noi: ci capita di ritirarci sdegnati e confusi nella solitudine perché a disagio in un mondo che corre velocissimo, incapaci di tener dietro a tutti i cambiamenti, le scadenze, le ideologie, i valori e le norme che si accavallano vorticosamente.

Certo le città moderne, concepite ormai soltanto per incanalare il traffico automobilistico e il convulso stile di vita contemporaneo non facilitano i contatti sociali. Le comunità, dove sperimentare la solidarietà sono, purtroppo, soltanto un’utopia sociologica. Lo sviluppo economico sembra aver selezionato un tipo d’uomo la cui psicologia ruota attorno alla propria ristretta cerchia familiare e al proprio tornaconto. La competitività, che non ammette respiro, non favorisce le occasioni conviviali di incontro, di dialogo, di festa. In una società in cui nessuno è veramente arrivato, non c’è tempo da dedicare all’amicizia e allo stare insieme.

La solitudine è, dunque, sì patologia, ma sarebbe un errore considerarla soltanto sotto questo aspetto. Esiste anche il rovescio (in questo caso il dritto!) della medaglia. La solitudine può essere anche una meravigliosa opportunità di sviluppo e di benessere interiori. Un’occasione preziosa da sfruttare. Una condizione cercata anziché subita.

A parte le differenze temperamentali fra gli individui, per cui ci sarà sempre chi desidera una vita piena di contatti e chi un’esistenza più raccolta, difficilmente alcune attività umane potranno svolgersi al meglio e con soddisfazione senza il verificarsi della solitudine.
Non esiste creatività artistica senza concentrazione e isolamento. Lo scrittore, il pittore, il pensatore, il compositore abbisognano nel loro lavoro di grande raccoglimento. Ma forse tutte le attività umane, che impegnano attivamente le nostre facoltà, necessitano di solitudine, fossero pure il giardinaggio o l’alpinismo. Lo studio, la riflessione, l’introspezione, la lettura vengono meglio se ci isoliamo dalla “pazza folla”.

L’incapacità di stare almeno qualche ora della giornata da soli, la dipendenza dalla presenza degli altri, può essere, quella sì, la spia di qualche malessere interiore, di qualche inadeguatezza personale.
Sono gli stessi psicologi, che sottolineano come l’acquisizione stessa della maturità psicologica, l’autorealizzazione personale, l’autenticità ci spingano con forza , in più di un’occasione nel corso dell’esistenza, a starcene, almeno per per qualche tempo, da soli.

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